
L’articolo di oggi parte dalla constatazione dei “tempi che cambiano”, dell’evoluzione che spesso, però, porta con sé un’involuzione.
Mai come in questo anno la tecnologia ha preso il sopravvento nella nostra quotidianità, “salvandoci” in molte occasioni, consentendo di mantenere vivi, seppur a distanza, i rapporti sociali, consentendo di portare avanti la didattica, gli studi universitari. Eppure, proprio il suo esplosivo utilizzo ha messo in luce anche molti lati negativi, che il più delle volte tendiamo ad ignorare.
Nella cronaca degli ultimi mesi, molte sono state le notizie di bambini che bruciano le tappe della loro infanzia per lanciarsi in un mondo forse troppo grande per loro, troppo complesso da poterne percepire i limiti ed i pericoli, o riuscendo a farlo solo quando ormai è troppo tardi.
Sono state queste notizie a farmi riflettere sui cambiamenti che il progresso tecnologico ha impresso nella nostra società, ma soprattutto nel modo di vivere la giovanissima età, confrontandola con quella di un tempo passato.
Videogiochi, balletti su TikTok, storie di Instagram, gruppi su Whatsapp, le cui conversazioni spesso celano qualcosa di spaventoso: quando tutto questo non era nemmeno lontanamente concepito, come era impiegato il tempo libero?
La parola d’ordine era sicuramente “arrangiarsi”, che non vuol dire semplicemente accontentarsi di quel poco che si aveva, ma soprattutto valorizzarlo, trasformando la semplicità in qualcosa di eccezionale e, per questo, divertirsi di più.
Ci si riuniva in stradine poco trafficate, in aperta campagna; bastava trovare un pizzico di fantasia per trasformare anche la natura in un gioco; quello che era importante era socializzare, fare amicizia e trascorrere qualche ora in compagnia.
Esiste un termine calitrano che sta ad indicare proprio questo puro e sano divertimento: “r’crià”, che deriva anche da “ricreazione”. E come Vinicio ci ha insegnato, ricreazione, a sua volta, vuol dire non solo “svago”, ma anche ricrearsi, reinventarsi. Ecco, sono convinta che i nostri genitori, i nostri nonni avevano, il più delle volte, molta più capacità di ricrearsi, in ogni sua accezione, di molti di noi.
Riprendiamo , quindi, alcuni dei passatempi antichi (ma non troppo) più comuni nelle nostre zone, alcuni dei quali saranno sicuramente noti anche ai nostri lettori più giovani, ma altrettanto trascurati.
I GIOCHI "ANTICHI"
NASCONDINO,chiamato in calitrano “accuvatur”: scelta la cosiddetta tana (un albero, un muretto), si sceglie colui che, ad occhi chiusi, deve fare la conta, stabilendo tutti insieme un numero massimo fino a cui contare (10,20, o anche di più), mentre gli altri partecipanti, in questo lasso di tempo, si nascondono. Finita la conta, inizia la ricerca dei compagni di gioco. Una volta avvistato uno, si corre velocemente verso la tana insieme al giocatore scoperto. Se a raggiungere per primo la tana è colui che conta urla “Tana per (nome del giocatore trovato)”, in modo da “eliminare” quel giocatore senza impedirgli di tanare gli altri. Il primo ad essere trovato dovrà contare nel turno successivo. Il cercatore quindi continua la sua ricerca , se però un giocatore raggiunge la tana prima di essere visto e trovato, dichiara tana ed è libero. Il cercatore quindi dovrà cercare gli avversari stando attendo a non allontanarsi troppo dalla tana. Se l’ultimo giocatore riesce a raggiungere la tana potrà liberare tutti i giocatori catturati e il cercatore dovrà contare e cercare anche nel turno successivo.
MAZZA E PIVEZO: su una pietra si poggia un bastoncino di legno lungo non più di 20-25 cm, arrotondato alle estremità (il piuz) che deve essere colpito da un bastoncino più lungo (la mazza). Una volta che il piuz è in aria bisogna lanciarlo lontano con la mazza. Vince chi riesce a farlo rimbalzare più volte , senza farlo cadere a terra.
SETTIMANA: con un gessetto si disegna a terra un percorso costituito da sette caselle, una per ogni giorno della settimana. Si tira un sassolino nella prima casella, facendo in modo che questo ricada all’interno del riquadro senza toccare le linee, altrimenti il giocatore perde il suo turno. Il giocatore saltella su una gamba sola dentro la casella, raccoglie il sasso e ritorna indietro saltellando sempre su una gamba, facendo attenzione a non toccare le linee della casella. Lancia nuovamente il sasso, mirando la seconda casella. L’obiettivo è quello di raggiungere l’ultimo giorno della settimana, senza calpestare le righe: in caso contrario, il giocatore perde il turno e riazzera il suo percorso.
RUBA BANDIERA: un gruppo, abbastanza numeroso, di ragazzi si divide in due squadre, disponendosi su due file, una di fronte all’altra. A queste si aggiunge un “porta-bandiera”, una sorta di arbitro che si posiziona ad un’estremità delle due file, al centro del campo da gioco. Ad ogni giocatore, in ogni squadra, è assegnato un numero, che dipende dalla posizione occupata e corrispondente a quello dell’avversario che si trova di fronte a lui nell’altra squadra (es. i primi delle fila saranno i numeri 1). Il porta-bandiera ha in mano un fazzoletto e chiama i giocatori a caso, con il loro numero. I giocatori delle due squadre chiamati dovranno scattare a prendere la bandiera (il fazzoletto) prima dell’avversario e tornare al proprio posto senza farsi toccare dall’avversario durante l’inseguimento, in modo da conquistare un punto, altrimenti il punto va alla squadra avversaria.
Forse questi giochi avranno riportato a galla vecchi ricordi di infanzia di qualcuno dei nostri lettori, non solo calitrani. Forse per qualcun altro sarà uno stimolo ad insegnarli ai propri figli. Forse per altri ancora saranno anche sciocchi e questi riterranno di gran lunga migliore la Playstation.
Ma in ognuno di questi casi, il mio consiglio è quello di fare, in ogni campo, ogni cosa con la giusta moderazione, senza perdere il giusto contatto con la realtà.
E voi a quale gioco non sapevate rinunciare insieme ai vostri amici?

Blogger Calitri. Studentessa magistrale in ‘Economia e Management’, laureata in Economia Aziendale. Appassionata di fotografia e della mia terra. La mia ambizione più grande è quella di restare e fare del nostro territorio un luogo di opportunità per tanti giovani come me. Ecco perché ho deciso di far parte di questo progetto e di portare Calitri nel cuore di chi mi leggerà.
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