Aquilonia, una terra incantevole
Aquilonia è una terra ricca di bellezze: bellezze naturali, come la grande quercia secolare di San Vito o le Briglie (piccole cascate situate a qualche km dal paese), bellezze architettoniche come la Badia di San Vito, le molteplici Chiese e le maestose fontane che troviamo sparse sul nostro territorio. La cultura, dalle nostre parti, non passa in secondo luogo; oggi vi scriverò del nostro fiore all’occhiello, il Museo Etnografico di Aquilonia.
Il Museo
Sin dal 1977, anno in cui è stato ideato da Beniamino Tartaglia, il Museo Etnografico di Aquilonia è un luogo di cultura unico nel suo genere nell’Alta Irpinia; questo lo rende esclusivo agli occhi degli ormai 100.000 e più visitatori dalla data della sua inaugurazione. Già dal sostantivo ‘etnografico’ si appura che è un Museo particolare; come scrisse il pensatore francese Henri Rivière ‘Il museo etnografico è uno specchio in cui una comunità può riconoscersi, leggendo la propria origine, la propria identità, il proprio futuro, ed è lo strumento con cui essa può comprendere i problemi del suo avvenire’.
Negli anni, si è cercato di ricostruire reali ambienti di lavoro e contesti abitativi tali da rendere l’esperienza del visitatore unica. Appena si entra nel museo, si ha come la sensazione di essere tornati indietro nel tempo; come in un episodio della serie TV ‘Dark’ in cui passato e presente si alternano, anche ad Aquilonia le epoche di ambientazione cambiano appena ci si sposta da una stanza all’altra.
Intervista al direttore.
Ho avuto il piacere di incontrare il direttore del Museo Etnografico di Aquilonia, l’architetto Vincenzo Tenore a cui ho sottoposto alcune domande riguardanti il nostro ‘fiore all’occhiello’.
D:’Cosa differenzia e caratterizza il Museo Etnografico di Aquilonia dagli altri Musei nella zona?’
R:’La longevità, innanzi tutto credo che sia collegata ad un’altra caratteristica del nostro museo: si tratta di un museo di comunità, un museo del dono. Li dentro sono custoditi gli affetti di un’intera comunità, e questi affetti tutti assieme , circa 16.000 oggetti, 300 fotografie, 5000 volumi, decine di mezzi agricoli storici, costituiscono anche una incredibile, gigantesca, dettagliata, nitida, fotografia della cultura demo-etnoantropologica della civiltà del nostro Appennino meridionale che abbraccia un tempo storico che potremmo collocare tra l’ottocento e il novecento. La “cifra” espositiva del MEdA poi è particolare, si tratta per la maggior parte dei casi di ambientazioni, una novantina, degli aspetti materiali di questa civiltà. Questa formula di allestimento ha una spiccata componente didattica ed è per questo che le scuole del territorio ci preferiscono con le loro frequentissime visite.
D:’Quali sono state le ragioni che ti hanno spinto ad accettare il ruolo così importante e prestigioso di direttore del Museo Etnografico?’
R:’ L’affezione al museo è radicata nelle mie esperienze giovanili , a 20 anni, giovane studente di architettura, ho avuto il piacere di collaborare alla realizzazione del primo nucleo sperimentale del museo assieme al professore Tartaglia e all’architetto Donato Tartaglia, i due direttori che mi hanno preceduto. In quegli anni, con un affiatato gruppo di giovani, il Gruppo di Lavoro Centro Storico, studenti universitari e delle scuole superiori, abbiamo dato vita a quella che chiamavamo il Rinascimento di Carbonara, e così, affiatati ed entusiasti, abbiamo operato tra il 1994 e il 2002 alla determinazione dell’ossatura del MEdA. Erano anni di fermento, assieme al primo nucleo operativo si strinse una intera comunità e molti di loro fanno ancora parte del museo, sono ancora soci dell’associazione o, nel caso di Donato Marzullo, Vice Presidente.
D:’Rispetto agli anni precedenti noto maggior coinvolgimento ed interessamento da parte dei giovani al Museo; da cosa è dipeso questo riavvicinamento?’
R:’ Il Museo, a mia memoria, è sempre stato frequentato da giovani o comunque ha sempre avuto loro come interlocutore preferenziale. Si pensi solo, come dicevo prima, a quante scolaresche vivono il museo come esperienza didattica. Al mio arrivo ho trovato una Associazione viva, fatta di associati attivi, che partecipano sentitamente alle attività con responsabilità e dedizione. Ho proseguito questo indirizzo ed ho da subito introdotto formule di partecipazione, quali la banca del tempo, che potessero consentire alla comunità aquiloniese ( quella allargata dei nostri concittadini con altra residenza) di apportare contribuiti anche stando lontano: che potesse proseguire la pratica del dono ma stavolta delle competenza: abbiamo tantissimi ragazzi, figli della nostra comunità, che andando a studiare fuori hanno acquisito competenze diversificate di cui potremmo beneficiare. È un modello di partecipazione a cui sono molto legato e che in altri contesti si utilizza con molto profitto. Anche nel comitato scientifico, che ho voluto per indirizzare le attività di una realtà oramai affermata e qualificata quale la nostra, è popolato di giovani da cui attingiamo, come nel caso di Andrea Spicciarelli, per produrre contenuti culturali.’
D:’Quali sono i progetti futuri che in qualità di direttore, vuoi portare avanti?’
R:’Certamente alla base di tutto ho posto una nuova architettura di gestione del MEdA, aggiornata, rinnovata ed in linea con le normative nazionali, che potesse scaricare i soci delle responsabilità dirette e garantire una gestione collegiale strutturata. Il museo che immagino investirà molto sulla organizzazione ed espansione della Biblioteca, sulla sistemazione degli archivi e depositi, in primis quello che andrebbe ad accrescere la sezione archeologica, che con la supervisione/collaborazione della Soprintendenza potrebbe qualificarsi ancor di più. Potenziare i sistemi di produzione e fruizione culturale. Partiamo dalla costruzione di un sito che possa contenere un archivio documentale “fluido”, consultabile in remoto che sia fatto ad hoc per consentire la ricerca e la consultazione. Abbiamo avviato le pratiche per la costituzione di una nostra Casa Editrice interna che possa fare servizio al territorio ( ai musei di prossimità ), abbiamo all’attivo decine di pubblicazioni e ancora molto materiale da far emergere dagli archivi. Le convenzioni con le università andranno potenziate e dovranno diventare strutturali: con queste potremmo investigare appropriatamente temi che da soli non riusciremmo ad affrontare, utilizzeremo i dottorati di ricerca, i tirocini formativi universitari oltre al servizio civile già attivo presso la nostra sede ma che dovrà diventare proprio. Intensificheremo le attività di coinvolgimento dei cittadini con attività intramoenia ed extramoenia. Abbiamo iniziato con le 12 passeggiate per conoscere la storia del nostro territorio: il nostro walkabout, la pratica aborigena utilizzata dai saggi per trasferire la tradizione ai giovani; ma proseguiremo con eventi all’interno del museo di carattere musicale e teatrale. Il museo dovrà essere propulsore culturale della comunità e contemporaneamente contribuire a far crescere il senso di appartenenza e di identità di una comunità “debole” sradicata come la nostra. Costruiremo una rete relazionale, vera, basata sulla collaborazione, e non sui protocolli calati dall’alto, con le realtà culturali del territorio. I direttori dei musei limitrofi sono già nel nostro Comitato scientifico e collaborano fattivamente con noi. Costruiremo nuove dinamiche di collaborazione con le Amministrazioni locali, basate sulla co-progettazione: stabiliremo obiettivi, costruiremo progettualità e concorreremo al raggiungimento di questi. I rapporti con quella attuale sono di fattiva collaborazione ed abbiamo già iniziato a percorrere questo cammino. Costruiremo attraverso tutte queste attività una mappa del nostro Patrimonio, saremo una comunità coesa attorno ad esso e saremo in grado di trasformalo in opportunità , piccola o grande che sia, per tutti. Le palazzine del 1930, i corsi d’acqua, le fontane e i mulini, i tratturi, le essenze arboree, le erbe officinali, i diari di guerra, le foto che tutti conserviamo nei cassetti, le filastrocche e le serenate che ancora cantiamo, la frutta che ancora cresce selvatica e i piatti tipici che ancora sappiamo preparare. Tutto concorrerà alla costruzione di questa comunità consapevole che immagino, che stiamo immaginando. I museo, ma ovviamente non solo, può rappresentare un volano importante in questo senso, ambire ad essere motore di sviluppo. Lo abbiamo già dimostrato in passato, possiamo praticare grandi rivoluzioni con il solo aiuto dell’entusiasmo. Sono fiducioso.
Conclusione
Il Museo, è l’ambiente in cui più percepiamo i legami con i nostri avi e con il nostro passato; è un tesoro che dobbiamo custodire con rigore e di cui dobbiamo essere fieri ed orgogliosi. Personalmente, da amante della storia, vedo il Museo Etnografico come il posto che sento più ‘mio’.È il primo luogo che faccio visitare agli amici che si recano ad Aquilonia, è il luogo in cui vado a documentarmi per approfondire la storia del mio paese; insomma, è Il luogo. Sarebbe strano pensare Aquilonia senza il suo gioiellino perchè non si può immaginare una cosa escludendo l’altra; Aquilonia è il Museo, il Museo è Aquilonia.
Blogger Aquilonia.
Sono Antonio, nato e cresciuto ad Aquilonia, paese dell’Alta Irpinia.
Sono laureato in scienze politiche all’Università di Bologna, le mie passioni sono la storia, la politica e la fotografia.
Come molti di voi, sono uno studente fuori sede che ama il suo paese, il suo luogo d’appartenenza, le sue origini.
Il nostro territorio, troppo spesso sottovalutato è pieno di risorse, una su tutte siamo noi giovani e lo dico senza alcuna retorica; spetta ai giovani far conoscere e sponsorizzare i nostri paesi.
Con la speranza di fare un bel lavoro, cercherò di catapultarvi alla scoperta della storia, dei miti, delle leggende del mio paese: Aquilonia.
‘E te li senti dentro quei legami
I riti antichi e i miti del passato
E te li senti dentro come mani
Ma non comprendi più il significato’
Radici, Francesco Guccini.
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