Parco archeologico di Aquilonia

La rivolta di Carbonara

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Parco archeologico di Aquilonia
Fonte instagram: Giuseppe Di Maio

Aquilonia è un piccolo paese di 1600 abitanti situato nell’alta Irpinia; un paese calmo, tranquillo ed accogliente, insomma un classico borgo irpino. Nell’articolo precedente vi avevo raccontato delle festività per il nostro santo Patrono, oggi vi narrerò di una storia sanguinosa e certamente meno allegra, dove un paese calmo e tranquillo si scoprì furente è bellicoso; questa  è la storia della rivolta di Carbonara.

Aquilonia-Carbonara

La prima cosa da dire è che Aquilonia non si è sempre chiamata così. Difatti, fino al 1860, forse per la produzione di carbone vegetale, per la presenza di particolari rocce impregnate di petrolio che bruciavano come carbone oppure perchè era un luogo di ritrovo dei carbonari, il paese si chiamava Carbonara. Questo è il motivo per il quale, in dialetto, Aquilonia è conosciuta come ‘Carunar’ o se preferite la variante calitrana ‘Carvnara’. Il nome di Carbonara venne definitivamente eliminato dopo un decreto governativo per la cancellazione del nome del paese come punizione per la sanguinosa rivolta del 21 ottobre 1860. Andiamo più nel dettaglio; cosa accadde in quella domenica del 21 ottobre 1860?

La situazione dell’Italia meridionale nel 1860

Stemma del Re Francesco II e della Regina Maria Sofia
Fonte: Wikipedia immagini

Nel Regno delle Due Sicilie la maggior parte della popolazione, formata da contadini, venerava e supportava il re borbonico Francesco II, conosciuto ai più come ’Francschiell’, a discapito dei Savoia considerati degli invasori del Regno borbonico. Il 21 ottobre 1860 si svolse il plebiscito per l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna, plebiscito a cui solo una parte della popolazione, i galantuomini, aveva diritto al voto;  il 79% degli aventi diritto al voto si espressero per il Sì. Questo sancì l’annessione del Regno borbonico al Regno di Sardegna.

Fonte facebook: Mirko Mesce
Fonte Facebook: Mirko Mesce

Domenica 21 ottobre 1860

Secondo le cronache dell’epoca quella domenica 21 ottobre 1860 era una giornata soleggiata,  la temperatura era gradevole e una brezza gentile spirava per le vie del paese. Carbonara, paese filoborbonico che vantava trascorsi  pacifici, fu invasa da un’insurrezione popolare. Dapprima fu appiccato un grande rogo degli stemmi e dei ritratti rappresentanti le figure di Vittorio Emanuele e Garibaldi, poi i contadini innalzarono la bandiera bianca dei Borboni, portando in processione per le vie del paese i ritratti del Re Francesco e della Regina Sofia. Il tutto era accompagnato dalle urla acute e penetranti della popolazione che intonavano per le strade di Carbonara odi ai Borboni come: “Evviva Franceschiell’”, “Adda’ turna’ Francschiell”, “Viva il Re”.

La strage

Vorrei potervi scrivere che la rivolta finì lì, con l’immagine di questa folla urlante che appiccava roghi nelle strade di Carbonara ma la parte cruenta, sanguinosa ed atroce di questa storia deve ancora arrivare. A Carbonara, i galantuomini, sostenitori di Vittorio Emanuele e Cavour, stavano partecipando alla lugubre e funesta messa col solo canto del Te Deum; vennero dapprima aggrediti vicino alla chiesa e poi giustiziati dalla popolazione in rivolta. Le scene che si presentavano agli occhi dei galantuomini sarebbero dovute essere surreali; scene di ordinaria follia, di questa folla urlante che si scagliava su di loro con forza brutale e ferocia inaudita.

Il tutto era accompagnato dalle note beffarde delle campane della chiesa in festa che, suonando, davano un senso di inverosimile alla scena; insomma, una situazione kafkiana. In quel triste giorno persero la vita 9 persone; i corpi vennero dapprima mutilati dalla ferocia della folla e poi alcuni scaraventati giù da un dirupo (‘La ripa r li signur’).

Le ragioni della rivolta

Le ragioni che spinsero la folla a compiere quegli atti crudeli e barbarici sono state molteplici, una su tutte si può riscontrare nel tradimento dei galantuomini sia verso il Re Francesco II sia verso la popolazione filoborbonica, dopo la votazione al plebiscito. Nei giorni successivi, il 26 ottobre entrarono a Carbonara due colonne di soldati per ristabilire l’ordine; vennero arrestati, secondo le fonti dell’epoca, 122 uomini e 19 donne.

Vi allego qui i nomi delle 9 persone che vennero massacrate in quel triste giorno: il capitano della locale Guardia Nazionale Gaetano Maglione, la guardia Angelo D’Annunzio, i liberali Gabriele Stentalis, Isidoro Stentalis, Nicola Tartaglia, Michele Tartaglia, il decurione Donato Tartaglia, il cancelliere comunale Francesco Araneo Rossi e Michele Cappa.

150 anni dopo

Nel 2010, in occasione della recita scolastica della terza media, con i miei compagni di classe abbiamo rappresentato la rivolta di Carbonara del 21 ottobre 1860. Avendo 13 anni, non conoscendo la storia e sapendo che la recita fosse una finzione, non vi nascondo che mi aggradava il ruolo che svolgevo come componente della folla che si scagliava contro i galantuomini agiati del paese. Credevo giusti i motivi della rivolta.

Conclusioni

Negli anni ho studiato l’argomento e sono arrivato alla conclusione, condivisibile o meno, che pur essendo validi e allo stesso modo nobili e giusti i motivi della rivolta, non giustifico l’accanita violenza di quella domenica, soprattutto perchè inaudita e ai danni dei propri concittadini che  si conoscevano ed addirittura, in alcuni casi, erano imparentati tra loro. È stato forse il capitolo più triste della storia di Carbonara, la storia di un popolo contadino e pacifico che, stanco del potere opprimente dei galantuomini e del tradimento di quest’ultimi, si mostrò violento ed aggressivo.  Oggi, quei luoghi della memoria dove accadde la rivolta sono stati spazzati via in parte dalla furia distruttrice del disastroso terremoto del 1930, ma sono ancora ben visibili nel maestoso parco archeologico che Aquilonia vanta di avere.

Nel prossimo articolo vi narrerò della catastrofe che più di tutte ha scosso la mia comunità. Questa volta la furia umana non c’entra nulla; nella notte del 23 luglio 1930, quella terra che tanto ha dato agli aquilonesi, tanto tolse.

In quella notte funesta, furono strappati alla vita 281 miei concittadini.

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