Mucche podoliche al pascolo

Pane, amore e… caciocavallo​

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Mucche podoliche al pascolo
Foto: Gerardo Sorrentino

Bentornati su Irpinia World. Si sta avvicinando Maggio e come sapete “a Maggio nasce l’ereva nova”. La natura si sta rinvigorendo e le vacche stanno per tornate dalla Puglia sul paesaggio del nostro Appennino. Sta per avvenire la transumanza! Un corteo, una sfilata, uno show naturale di natura che a Montella va ancora in scena due volte l’anno. Dal 2019 patrimonio UNESCO.

Il mio comune è famoso anche per la grande produzione casearia, ancora di più per il caciocavallo. Sì, quello che si impicca alle sagre. Calma con l’acquolina e facciamoci una domanda: ma sappiamo tutti, realmente, come si realizza un capolavoro caseario?

Un caciocavallo a regola d'arte

Il passaggio erba, mucca, latte, formaggio sembra semplice. Ma così non è, affatto. Realizzare un formaggio, e il caciocavallo in particolare, è una maestria che unisce chimica e zootecnia a tradizione e alchimia.

E gli equini non c’entrano niente! Più avanti scoprirete perché.

Dicevamo che è tempo di transumanza, le mucche tornano al pascolo a casa loro ed è questo il periodo in cui producono il latte migliore. Questo latte, appena munto, crudo, non pastorizzato, la cui provenienza è certificata, viene consegnato al mastro casaro.

In passato avrebbe acceso il fuoco e messo il latte a scaldare in un pentolone. Avrebbe poi aggiunto lo stomaco del capretto per avviare la coagulazione.

Oggi quando il latte, nel tino di acciaio, ha raggiunto i 35°C viene fatto coagulare con il caglio e dopo un’ora a riposo si può avviare la spinatura.

Il latte è oramai gelatinoso e la cagliata viene tagliata e poi cotta ad una temperatura poco sopra i 40°C. Ora la cagliata si separa dal siero.

Il siero verrà usato per produrre la ricotta, o scremato per avere la panna e successivamente il burro. Intanto sul fondo del tino la pasta di caciocavallo si sta formando. Al semplice tatto, la sapienza del mastro casaro, saprà suggerire quando la pasta è pronta per essere lavorata. Viene portata su un tavolo per lo spurgo del siero.

Inizia da qui la filatura della pasta. Solo il casaro saprà quando la pasta è pronta e a quel punto inizierà a raccogliere la pasta con le mani per formare una sfera. Piano, con calma, spinge con le dita la pasta nella forma che sta creando, facendo infinita attenzione a non lasciare fessure, raccogliere acqua o incorporare aria. Tutte cose che potrebbero compromettere la perfezione del sapore e della stagionatura. Accarezza la sfera, la solleva, e mentre la regge con una mano con l’altra crea la “testa”. Il caciocavallo ha assunto la sua forma. Viene raffreddato in acqua e poi salato in una salamoia. Qui resta da due a tre giorni.

Inizia l’ultima fase, la stagionatura. Due caciocavalli sono legati insieme da una corda. La coppia viene appesa a stagionare. E’ da qui che viene realmente il nome, il cacio a cavallo di una pertica.

Un tempo questa operazione si sarebbe compiuta d’inverno in magazzino, d’estate in cantina.

Caciocavallo in stagionatura
Foto: Carmine Dello Buono

La stagionatura sarebbe terminata quando il gusto del proprietario avrebbe giudicato il caciocavallo all’altezza del suo vino e della soppressata che aveva nella stessa cantina. Oggi i tempi sono di circa 40 o 50 giorni per un prodotto dolce, molto adatto ad essere sciolto, lavorato, cucinato o “impiccato”. Da 5 mesi a due anni per i palati che pretendono un formaggio più secco, saporito, deciso, piccante. Uno di quei caciocavalli dal colore paglierino, che mostra gli “occhielli” nella fetta e che ben si accompagna ai rossi corposi della nostra terra e ad una sopersata. Specialità di cui leggerete presto su Irpinia World.

Il caciocavallo, quello podolico e quello impiccato

Abbiamo capito perché si chiama caciocavallo, ma spesso ci riferiamo a questa prelibatezza con il termine “provolone”. Di fatto sono due prodotti quasi identici, il nome varia a seconda se si ascolta un buongustaio dell’Italia settentrionale o meridionale. Diverso e peculiare è invece il discorso del caciocavallo podolico.

Dal 10 Febbraio 2020 il caciocavallo podolico è stato inserito nell’ ”Elenco Nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali”, ma in tanti ne hanno solo sentito parlare. Il latte di cui abbiamo parlato fino ad ora è raccolto da diverse razze (pezzata bianca, bruna alpina, ecc…) peculiari del nostro Appennino. Il latte per avere il caciocavallo podolico è invece quello prodotto esclusivamente dalla mucca podolica. Questa bella vaccarella ha origine dalla Podolia, una regione dell’attuale Ucraina. Furono gli Unni a portarsela dietro nella loro avanzata, e poi, evidentemente, si è trovata a suo agio sui nostri altipiani. 

La podolica produce un latte superbo, grasso, altamente indicato per l’allevamento dei vitelli, ovviamente gustoso e appetitoso anche per l’uomo che l’ha sempre utilizzato nella caseificazione. Il processo di lavorazione, poi, è lo stesso, ma ovviamente il sapore è quella cosa che in questa pagina, a parole, non si può descrivere. Mordere una fetta di caciocavallo podolico, che già solo ad affettarlo avvolge l’olfatto dei sentori e degli aromi della tradizione e della genuinità, è un’esperienza a se stante. Quel triangolino di formaggio, paglierino, bucherellato, che inizia a trasudare nel piatto di una tavola imbandita, obbliga all’assaggio. Chiudete gli occhi quando addentate un caciocavallo podolico e vedete. Vedete il mandriano che conduce le vacche nel verde, stanno brucando l’erba dei nostri altipiano. Vedete il casaro che rovescia il latte nel tino e lavora la pasta di caciocavallo. Vedete la coppia di caciocavalli appesi ad essiccare, la natura gli sta dando il gusto che sentite ancora in bocca. Sentite l’erba, sentite la stalla, sentite il latte, il lavoro, la tradizione e la genuinità? 

Mi dispiace per voi, ma dovete venire a Montella per vivere questa esperienza.

Caciocavallo Impiccato
Foto: Carmine Dello Buono

Il caciocavallo impiccato, invece, è sostanzialmente un modo di consumarlo. Tanto scenografico, quanto esaltante per occhi e palato. Da sempre il caciocavallo non molto stagionato è stato usato in cucina, sciolto o arrostito sulle braci, ma all’inizio degli anni 2000 l’associazione “Metamorphosys” presentò, in una sagra della castagna, questa novità che oggi caratterizza buona parte degli eventi di gastronomia e inizia ad avere forte presenza altrove e sfumature gourmet. 

Non è comunque un’arte facile quella dell’addetto al caciocavallo impiccato. Non a caso a Montella si è dato il via ad un nuovo evento il “Kaso Fest” per celebrare questo prodotto, le sue peculiarità, le sue origini e ovviamente il suo sapore. Tranquilli vi terrò aggiornati anche su questo evento, di cui vi parlerò su Irpinia World. Nel Kaso Fest potrete entrare in contatto direttamente con tutto ciò che avete appena letto, dalle mucche al prodotto finito e cucinato. Non farete in tempo a create la storia su Instagram che il profumo del caciocavallo che si scioglie e cola sulla brace vi trasporterà allo stand gastronomico. Il mastro casaro vi sta preparando una fetta di pane bruschettato con una spalmata di caciocavallo impiccato, morbido, caldo, saporito. “Ci vuoi anche il tartufo” vi chiede, ed è lì che probabilmente vi scioglierete anche voi come l’acquolina che avete in bocca.

Tips:

Con il caciocavallo impiccato, chiedete un pezzo di “scorza” abbrustolita, è la mia parte preferita.

Intolleranti non temete, tutta questa bontà è disponibile anche SENZA LATTOSIO.

Tutto questo per dire che ora abbiamo tante occasioni per mangiare il caciocavallo e il caciocavallo impiccato. Per un’esperienza unica e completa, dovreste venire qui. Ma tranquilli, vi terrò aggiornati sugli eventi di Montella.

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