
L’alimentazione dell’uomo ha sempre avuto, soprattutto in questo angolo di mondo, come cardine il pane e in generale la farina. Ma prima di questo è indispensabile avere un mulino. Oggi vi racconto la storia di quello di Montella e del progetto di recupero.
Un contesto idilliaco
Scendendo dal paese verso le rive del fiume Calore, nei pressi del “ponte della lavandaia” (scoprirete tra poco il perché di questo nome), incontriamo i ruderi del vecchio mulino di Montella.
Ora, però facciamo un passo indietro, alziamo gli occhi, allarghiamo l’orizzonte. Quello che abbiamo davanti è un paesaggio completo, un’armonia di elementi, natura, architettura, ingegneria, fede, tradizione e storia che hanno tracciato, con le mani dell’uomo, un quadro che Nicola Palizzi a metà ‘800 ha solo fedelmente riprodotto. Vedete il ponte, al centro dell’immagine, su un lato il mulino, dall’altro il monte del Santissimo Salvatore con il santuario sulla cima, alle spalle la cascata (per i montellesi “la pelata” di cui vi parlerò presto).
La storia e il perché
E’ impensabile per una comunità sopravvivere senza un Mulino. A Montella nel XVI secolo ve ne erano 3, uno “de Baruso”, uno “del Bagno”, uno a Cassano Irpino (parte del Feudo di Montella insieme a Bagnoli Irpino, Cassano e Volturara). La situazione di questi mulini, però, non era delle migliori. Si trovavano lontano dal centro e uno era quasi inutilizzabile. Il periodo era proficuo e quasi dovunque si costruivano strutture del genere, opifici, ferriere, armerie, tintorie, e ovviamente forni e mulini con nuove concezioni tecnologiche. Montella non rimase indietro, fu fatta richiesta al feudatario, conte Garcia II Cavaniglia, (vi racconterò dei Cavaniglia e della storia di Diego) da parte del sindaco Marino de Marco e dagli eletti dell’Università, di costruzione a proprie spese di un nuovo mulino sul fiume Calore. Con un atto, il 5 Agosto 1564, si ebbe la concessione edilizia e si decise che il nuovo mulino rimanesse corpo feudale, cioè bene demaniale di proprietà del feudatario.



L’Università, che all’epoca si reggeva su gabelle e tributi, e versava (come tutte, come sempre, come ora) in “pre dissesto”, si accollò comunque tutte le spese, e accontentò casa Cavaniglia in tutte le pretese e le richieste sia legali che finanziarie. Il sito prescelto non fu casuale. In quel luogo il fiume Calore arrivava con una portata ottimale per ottenere l’energia necessaria a mettere in moto le due macine previste. Sì, a differenza della quasi totalità dei mulini dell’epoca, quello di Montella aveva due macine per poter ottenere una quantità maggiore di farine. Il Mulino di Montella sul ponte della lavandaia entrò in funzione nell’ottobre del 1565 ed era in grado di macinare 130 tomoli di vettovaglie, ossia, 7.200 Kg di grano.
Il mulino di Montella lavorò per quattro secoli, fino al secondo dopoguerra. La sua vita non fu semplice, anzi, cosparsa di alti e bassi. A fine 800 la “tassa sul macinato” causò l’impoverimento di diverse popolazioni. Nel nostro mulino fu installato un contatore che tariffava 1 lira per ogni quintale di granoturco macinato, 2 per ogni quintale di grano e mezza lira per ogni quintale di castagne. Il più delle volte la tassa veniva pagata dalla povera gente cedendo una parte del molito. Si impenna la produzione durante il fascismo in conseguenza della “battaglia del grano”. I bombardamenti anglo-americani distrussero i canali di adduzione dell’acqua e quasi totalmente la struttura. L’abbandono e l’indifferenza ci hanno consegnato i brandelli di muri di pietra che oggi vediamo.
Il funzionamento
Il mulino di Montella ha lavorato, dicevamo, per circa quattro secoli. E il suo funzionamento è rimasto sempre lo stesso, la tecnologia alla base del movimento delle macine per la molitura non è mai cambiata. Il mulino era costituito da un unico ambiente che ospitava le mole e parte degli ingranaggi. Era una costruzione lunga 8,58 metri (33 palmi) e larga 5,84 (24 palmi), circa 51 metri quadrati. Il sito prescelto, come detto era d’obbligo perché favorito da una portata ingente e costante di acqua. Ma non bastava. Si dovette comunque creare una diga e un canale di adduzione per poter regolare il flusso e la forza dell’acqua. La diga fu dapprima fatta in muratura, poi con pali di legno e poi di nuovo in muratura. Quella di pali di legno, tenuti insieme da corde, aveva spesso bisogno di manutenzione perché devastata dall’irruenza dell’acqua. Alla manutenzione provvedevano i montellesi, obbligati o ricattati dal Conte. Era denominata “palata” divenuta poi “pelata” per i montellesi. Nome con il quale noi tutt’oggi ci riferiamo alla cascata stessa. Dalla diga partiva un canale che portava l’acqua ad una sorta di cisterna conica interrata alle spalle del mulino. Da qui l’acqua usciva orizzontalmente, nel piano sottostante il mulino, verso due ruote dotate di pale sotto due rotori (pali). Questi due pali fungevano da albero e trasmettevano, ruotando, il movimento alle mole al piano di sopra (la descrizione diventa più chiara guardando i rendering del progetto dello Studio Verderosa).



Qui, per entrambe, la pietra inferiore era fissa, mentre quella superiore ruotando macinava il grano o il granturco o le castagne che vi si versavano. L’acqua che aveva permesso il miracolo della molitura, e di ricavare la farina, veniva riconsegnata al fiume Calore tramite una galleria di scarico tutt’ora visibile. È proprio oltre questo scarico che venivano realizzati quegli sbarramenti (marrizze per i montellesi) che permettevano alle donne di Montella di lavare o risciacquare i panni giù al fiume. Per questo motivo, e per la leggenda medioevale di una ragazza lavandaia suicida il cui fantasma dovrebbe disturbare l’attraversamento del ponte, la cascata e il ponte stesso sono detti della lavandaia.
Il progetto, un gruppo su Facebook e la ricostruzione
Dal 2011 è depositato, presso l’ufficio tecnico del Comune, un progetto esecutivo per il recupero della struttura del vecchio Mulino di Montella e la riqualificazione di tutta l’area circostante.
Il progetto è risultato vincitore di un Concorso Nazionale di Idee-Recupero del 2003, presentato dall’ Arch. Angelo Verderosa (come capogruppo) a cui partecipò anche il nostro concittadino Arch. Carmine Musano. Il progetto, oltre al restauro, prevede di riproporre, a fini didattici e museali, il funzionamento degli antichi rotismi. Idee e realizzazioni a dir poco meravigliose ma che hanno bisogno di risorse ingenti.
Il 28 Gennaio 2014, Michelangelo Chiaradonna, un nostro concittadino che vive da anni in Germania, attivò un gruppo Facebook intitolato “Ricostruiamo il Mulino di Montella”.
La sua intenzione era quella di sensibilizzare i cittadini nel darsi da fare per ripristinare quel vecchio mulino.
Nel 2019, in occasione della 37a Sagra della Castagna IGP di Montella, l’attuale vicesindaco, nonché assessore alla Cultura, Anna Dello Buono, accoglie quel suggerimento di Michelangelo e promuove l’invito alla popolazione a “tirare fuori” le immagini inerenti il vecchio mulino, per realizzare una Mostra pittorica e fotografica da rappresentare nei locali della Villa E. e C. De Marco di Montella.
In data 2 Novembre 2019 è stato anche organizzato un convegno tematico sul vecchio mulino di Montella. È stata questa l’occasione per dar vita alla nascita di un Comitato Civico cittadino con la denominazione “Ricostruiamo il Mulino di Montella” di cui fanno parte sia l’amministrazione che artisti, cittadini e rappresentanti di varie associazioni, compreso il Forum dei Giovani.

Il comitato ha l’onere di tenere alta l’attenzione sulla questione, sensibilizzare al massimo la cittadinanza e intercettare eventuali fondi, finanziamenti o progetti per favorire la ricostruzione. Ha anche già aperto un conto corrente per la ricezione di donazioni. Anche la delegazione FAI Giovani di Avellino ha accolto con piacere il progetto e lo supporta nella campagna “I Luoghi del Cuore”. E’ infatti possibile votare il sito per fare in modo che anche il FAI riconosca e sovvenzioni questo emblema, simbolo di una comunità.

Sono Carmine, sono irpino e ne sono orgoglioso. Mi ritengo fortunato ad essere cresciuto a Montella. La mia fortuna è stata la mia famiglia, una famiglia radicata e sicura del proprio retaggio che mi ha trasmesso educazione, valori e rispetto, oltre che a tradizioni e consapevolezza del territorio e delle persone che ne creano la comunità. Negli anni ho potuto viaggiare, scoprire, vedere e visitare il mondo. Toccare le sue culture, ascoltare le lingue e le storie della gente. Ho fatto tesoro di questo, ne ho fatto esperienza e le ho riportate a casa. Sono cresciuto dando il mio contributo in qualunque modo possibile. Nel mio comune mi sono impegnato in ogni modo possibile. Ho partecipato e partecipo a diverse associazioni che vanno dal culturale al recupero del dialetto e del folklore, al teatro vernacolare; il forum dei Giovani; attività, comitati, organizzazioni, progetti, pubblicazioni ed eventi di ogni genere e natura; sono donatore di sangue del Gruppo Fratres all’UDR di Montella; sono guida culturale locale per la ProLoco “Montella Alto-Calore”; sono volontario FAI Giovani della delegazione di Avellino.
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