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Cielo grigio

Che ci faccio qui? Mi sono posta spesso questa domanda, proprio come Charwin, ripensando ai “tristi tropici”, a quella che Ernesto de Martino ha definito terra del ri-morso dando luogo a un abile gioco di parole che vuole far riflettere sul senso di certi luoghi.

In questi giorni così singolari, tra feste mutilate e pioggia incessante ho riflettuto sul senso del mio essere qui, proprio qui e in nessun altro luogo.

è così che vanno le cose, così devono andare?

Oggi ho deciso di raccontarvi una storia di vita contemporanea, mia e di tanti altri e tante altre che vivono alla stregua dell’abbandono.

Da alcuni giorni, per lasciare un velo di mistero diremo non più di dieci e non meno di sette, i ripetitori del segnale di un noto gestore telefonico (l’unico con qualche speranza di campo) hanno smesso di funzionare, alias stiamo vivendo del più completo isolamento.

Tutto questo accade in perfetta concomitanza con il periodo della storia in cui le connessioni risultano essere la cosa più fondamentale e necessaria per il genere umano. Ciò non di meno, a fronte delle numerose segnalazioni, gli ormai stremati operatori, mi hanno suggerito di cercare di meglio. Dentro di me sapevo già che se ci fosse stato di meglio non sarei stata lì ad elemosinare un minimo di pietà…

Ho ripensato a una delle mie canzoni preferite: ” Tra poco arrossa il cielo della sera, sospeso tra azzurri spazi gelidi e lande desolate. Quietami i pensieri e le mani e in questa veglia pacificami il cuore… Così vanno le cose, così devono andare”, cantava Giovanni Lindo Ferretti e anche io con lo sguardo rivolto alle colline dietro cui presumibilmente si nascondevano i ripetitori di questo segnale fantasma mi ripetevo così vanno le cose, così devono andare.

Eppure, ragionando in un’ottica decisamente estranea alla mia personalità, ho deciso di fare tesoro di questa esperienza e riflettere sul mio territorio e sulle sue opportunità in questo momento storico.

Come sarebbe stato trattato questo guasto nel centro di Milano? Avrebbero fatto trascorrere settimane prima di sistemarlo?, lasciando abbandonate a loro stesse attività commerciali, utenti in smart working e negando il diritto allo studio a dei poveri studenti e delle povere studentesse in DAD (o qualunque sia il nuovo nome coniato per definire coloro che stanno studiando da casa?).

A fronte di poche migliaia di abitanti un vuoto infrastrutturale di questo genere può essere trascurato e relegato a guasto tecnico in elaborazione? Il famoso “FATE PRESTO” pubblicato sui giornali a caratteri cubitali a seguito del terremoto del 1980 va urlato a voce ancora più alta oggi che siamo vicini alla morte biologica e sistemica di queste terre.

Questa bella parentesi di valorizzazione è una opportunità per i giovani e le giovani del territorio di far conoscere la bellezza dei luoghi che viviamo ma è necessariamente una opportunità di condividere dolorosamente quello che ci manca. La scrittura non può essere separata dai luoghi e dalle biografie individuali di chi la agisce ed è per questo che non possiamo esimerci dal dire anche cosa non va.

Ho iniziato questo breve pezzo con una domanda: Cosa ci faccio qui? Provocatoriamente, è chiaro.

Voglio chiudere con un’altra domanda non meno retorica e non meno dolorosa: Cosa posso fare qui? Non stiamo cercando curiosi, turisti della domenica o villeggianti estivi che fanno rifiorire i nostri paesi… non solo almeno! Ciò che cerco per il mio paese, per Carife, è interesse, consapevolezza e possibilità.

Noi siamo intenzionati a costruire qui il nostro futuro ma abbiamo bisogno di un operatore che ci risponda che il guasto sarà risolto in pochi minuti.

 

 
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