Ci siamo lasciati alle spalle un anno che non dimenticheremo facilmente e che resterà impresso nelle nostre coscienze più di quanto possiamo immaginare. Tuttavia, ogni evento drammatico, se analizzato con accuratezza e lucidità, ci riserva i moniti indispensabili per imboccare la strada giusta nel futuro.
Anche se non è ancora giunto il momento dell’analisi lucida e distaccata, dato che scriviamo in piena pandemia fra lockdown, zone rosse, piazze chiuse e saracinesche abbassate, la diffusione del Covid-19 ha già offerto numerosi spunti di riflessione che probabilmente vale la pena cogliere, prima che sia troppo tardi.
Con il nostro intervento sul blog di Irpinia World vogliamo porci due domande: qual è il ruolo che i piccoli paesi italiani, fra cui quelli dell’Irpinia, hanno svolto durante il periodo pandemico? E qual è il ruolo che potranno svolgere in futuro prossimo?
Il primo interrogativo ha la risposta sotto i suoi occhi. Il secondo, invece, è ancora privo della vista.
Durante i lockdown (purtroppo ne abbiamo vissuti diversi!) abbiamo constatato che i piccoli centri sono stati il rifugio dalle grandi città. Quando la vita urbana è diventata improvvisamente pericolosa per la salute dei suoi abitanti, quando i battenti delle metropoli venivano chiusi, i treni bloccati, gli uffici svuotati e le università sbarrate, i piccoli comuni hanno riaccolto, e stanno accogliendo tuttora, fuori sede, pendolari e familiari emigrati appartenenti a varie categorie. Il mondo si è rovesciato: ciò che in un contesto di normalità era considerato come un’opportunità (il dinamismo urbano, i contatti personali e lavorativi, i luoghi di scambio e di incontro), nell’attuale contesto di emergenza medico-sanitaria è diventato una minaccia. La riscoperta forzata dei piccoli centri è stato il rovescio della medaglia non solo sotto l’aspetto sanitario, ma anche ambientale e sociale, come economico e psicologico. Il ‘modello paese’ ha dunque costituito una sorta di palliativo per attenuare gli effetti collaterali della situazione pandemica.
Ma che cosa succederà quando la normalità verrà ripristinata e le autorità daranno il via libera per riprendere le attività a ritmo pieno? Sui blocchi di partenza, dopo il colpo di pistola, ci fionderemo nuovamente nella vita cittadina, ammassati nei grandi centri, a riprendere i contatti interrotti, a ripopolare i luoghi d’incontro e a recitare la nostra parte sul palcoscenico urbano. Usciremo dallo stato d’eccezione e i paesi si svuoteranno, tornando al copione di un tempo.
Se gli eventi andranno in questa direzione, allora bisogna riconoscere che il ‘modello paese’ trova la sua ragion d’essere soltanto nei momenti d’eccezione e nelle situazioni di emergenza, mentre in uno scenario di normalità si trova costretto a svolgere un ruolo di subalterno e ad essere visto semplicemente come l’extrema ratio.
I paesi potranno mai emanciparsi da questo destino? Domanda che ci porta al quid della questione: quale futuro per i paesi dopo la pandemia?
Proviamo a dare una risposta che di certo non pretende di essere la formula magica per risolvere le ataviche problematiche dei nostri territori, ma vuole essere soltanto una suggestione, la traccia di un percorso percorribile
La crisi è un’opportunità. Anche la crisi sanitaria che stiamo vivendo e la crisi economica che ci accingiamo a vivere sono un’opportunità. E in un duplice senso. In primo luogo, la condizione di crisi è l’unica occasione che abbiamo per riflettere sulla nostra ‘normalità’. La sospensione del tempo e la conseguente l’interruzione delle attività ci forniscono l’occasione per passare al setaccio la nostra vita quotidiana, individuarne i pregi e i difetti, fare un’analisi critica dei suoi meccanismi. In secondo luogo, una volta fatti i conti con la ‘normalità’, la crisi diventa l’opportunità per riformare ciò che non funziona, sostituire gli ingranaggi difettosi e ripensare ad una nuova ‘normalità’ più sostenibile, vivibile e più equamente strutturata.
La crisi è dunque un’opportunità di trasformazione della società e di maturazione del nostro vivere quotidiano. E la crisi che stiamo vivendo può diventare un’opportunità per rivalutare il ‘modello paese’, per ripensare ad un modello di vita decentrato e semplificato, fuori dagli schemi dei centri urbani, per riscoprire un’esistenza sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.
Il ‘modello paese’ può rappresentare un’alternativa al ‘modello urbano’, purché si proceda ad un decentramento del lavoro, ad una riapertura degli uffici nei piccoli centri, ad un rafforzamento delle infrastrutture e delle vie di comunicazione, ad una politica demografica che punti al ripopolamento dell’entroterra.
Probabilmente nella crisi pandemica, pur in tutta la sua drammaticità, è possibile intravedere un profilo alternativo alla nostra ‘normalità’. Ci auguriamo che in futuro prossimo il ‘modello paese’ possa diventare il soggetto attivo di una rinascita ambientale, sociale ed economica.
La Pro Loco Ansanto nasce nel 2018 con lo scopo di tutelare e valorizzare il patrimonio naturalistico, artistico e culturale di Rocca San Felice.
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