A distanza di quarant’anni dal terribile sisma che colpì l’Irpinia, riflettiamo sugli effetti della catastrofe e su nuovi possibili scenari per la comunità di Serino, grazie ad alcune domande poste al professor Antonio De Feo.
il ritorno nei luoghi del sisma.
Domenica 23 novembre di quarant’anni fa, ore 19:34, scosse fortissime inizialmente sussultorie poi ondulatorie colpiscono la Campania centrale e la Basilicata.
Tre scosse di terremoto con magnitudo massima di 6.9 si verificarono in rapida successione in Irpinia. Gli effetti del sisma vennero percepiti in quasi tutta la penisola, ma i danni maggiori si concentrano tra Campania e Basilicata, dove le scosse continuarono anche il giorno successivo.
Un evento che portò con sé un gran numero di morti, feriti, e migliaia di sfollati finiti in tende, baracche, container, case prefabbricate.
Nel libro “Storia di Serino” (ed. seconda) di Filomeno Moscati leggiamo che a Serino l’entità del disastro fu evidenziata in una seduta di Consiglio Comunale tenutasi il 6 dicembre 1980 nell’aula consiliare dell’edificio municipale.
Fu una seduta drammatica poiché l’attuale Sindaco, il dottor Paolo De Vivo, passò immediatamente a fare il punto della situazione, comunicando che erano state recuperate 10 salme e salvate diverse persone dalle macerie, e si presumeva l’inagibilità dei fabbricati al 90% sull’intero territorio del Comune.
Fu un inverno lungo, con una comunità che si è portata avanti per mesi i segni della, distruzione non solo materiale ma anche nella sua identità. Agli abitanti di Serino, come per tutti gli irpini, però, non mancò la forza di rinascere dalle macerie, ma il processo di ricostruzione fu sicuramente lento, come lenta fu la ricostruzione dell’anima ferita di tutta la comunità.
Ripercorriamo la storia con un’intervista.
Con una breve intervista, il professor Antonio De Feo ci riporta indietro di 40 anni per raccontarci quegli istanti del terremoto, vissuti con l’ingenuità tipica dei bambini.
I: “Gli attimi prima e dopo il terremoto. Qual è stata la sua reazione istantanea?”
A. De Feo: “Il 23 novembre del 1980 io ero un bambino di quasi 3 anni. Quella sera, insieme alla mia famiglia, mi ero appena messo a tavola per cenare e per festeggiare il compleanno di mio nonno, che proprio quel giorno compiva gli anni. Infatti a tavola eravamo in parecchi, al piano terra di casa nostra, con la porta aperta verso il cortile. All’improvviso, ricordo di aver avvertito trambusto e siamo scappati fuori. La cosa che più mi è rimasta impressa è il fatto che io, nello scappare, uscii di casa con la forchetta in mano e la cosa mi preoccupava, perché più volte mia madre mi aveva invitato, a non portare fuori gli oggetti di casa.
Mentre mi chiedevo come poter rimediare senza farmi vedere, sentivo uno strano rumore e avvertivo la preoccupazione degli adulti. Per la prima volta sentii quella sera la parola “terremoto”, anche se non riuscivo a capire nulla. Alla fine di quella interminabile scossa, la nostra casa rimase in piedi, ma i miei genitori decisero che avremmo trascorso la notte nella nostra automobile, una FIAT 127 celeste. Credo che quella sia stata la notte più bella della mia vita: dormire in macchina rappresentava un gioco per me, solo anni dopo avrei avuto la percezione della gravità di ciò che avevo vissuto.”
I: “Come proseguì quell’inverno dell’80 a Serino?”
A. DE FEO: “Nei giorni successivi vissi cose mai immaginate prima. Dormimmo per alcune notti in una baracca dove era custodita la legna e dove erano stati sistemati dei materassi. Ricordo che vennero da noi anche i nonni, perché la loro casa era crollata. Ricordo che papà e mio zio andavano avanti e dietro tutto il giorno, portavano alimenti e vestiti, coperte e altre cose utili per tutti. Si parlava sempre più insistentemente del terremoto, di morte, di distruzione. Ricordo camion e ruspe che passavano incessantemente, leggevo la sofferenza sul volto degli adulti, mentre io ero ingenuamente felice, perché facevo cose che mai avrei immaginato di fare.”
I: “A distanza di 40 anni, com’è Serino oggi? La nuova generazione prova a mettere al centro il territorio?”
A. De Feo: “Il 2020 è appunto l’anno del quarantesimo anniversario del terremoto.
In questi quattro decenni sono cambiate moltissime cose. Non esiste quasi più nulla di quegli anni! Quell’evento ha rappresentato uno spartiacque, tra ciò che c’era prima e ciò che è venuto dopo. Tra gli anni ’80 e ‘90 abbiamo vissuto un periodo di grandissima trasformazione. Innanzitutto una trasformazione urbana. Sono state ricostruite le case, tuttavia abbiamo “perso” la nostra identità. Una ricostruzione disordinata e senza un riferimento ideale a cui confrontarsi ha reso il nostro territorio anonimo, spesso disumanizzato. Per fortuna sono rimasti alcuni elementi di legame con il passato, nelle case recuperate, nelle Chiese restaurate, nei frammenti dei piccoli centri storici ripresi. Sono sorte tante nuove e moderne costruzioni ma sembrano tante monadi, tante individualità non in comunicazione tra di loro. Rimane l’amarezza di non aver saputo recuperare, ma di aver voluto sostituire, pensando che il nuovo avrebbe consentito lo sviluppo. Purtroppo non è stato così ed oggi la mia generazione si ritrova a dover rifondare una comunità. Certo non è facile, considerato anche che le risorse sono sempre più scarse e richiedono un progetto condiviso chiaro e puntuale. Credo però che oggi abbiamo una grande opportunità e consiste nel doverci far carico di un percorso, di un’“idea di sviluppo possibile” che deve essere “sostenibile”.
Sostenibile significa che lo sviluppo deve essere etico, deve essere condiviso, e deve esserlo per tutti.
Questa è la sfida che ci aspetta e questo è il “terremoto culturale” che la mia generazione e quelle future devono sostenere.”
Il futuro si vive con fiducia.
Così come la ricostruzione dei luoghi distrutti o danneggiati fu lenta e non può dirsi veramente conclusa nemmeno oggi, altrettanto lenta fu ed è ancora oggi la ripresa della comunità.
Tuttavia, citando il prof. De Feo, un progetto condiviso chiaro e puntuale nelle nostre terre è possibile: il nostro territorio è pieno di potenzialità da poter valorizzare, di bellezze naturalistiche, tradizioni storiche ricche e tante realtà sociali, di aggregazione, che ancora consentono di sperimentare quei valori che per noi uomini sono fondamentali, come il senso di appartenenza ad una comunità, il non essere anonimi.
L’ultima domanda, che stavolta rivolgiamo a noi e ai nostri lettori: “Siamo pronti per un nuovo terremoto, il terremoto del cambiamento?”
Abbracciando il passato, vivendo il presente ed immaginando il futuro, ripercorriamo le “strade” del nostro amato paese, raccontate dai giovani di ieri e di oggi.
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