Sappiamo tutti che l’insolito periodo che stiamo vivendo richiede ad ognuno di noi di fare delle rinunce, piccole o grandi. Ci sono gli amanti del viaggio, che sono costretti a mettere un freno alla propria curiosità, rinunciando a scoprire nuovi posti, come i nostri paesini irpini. Ci sono calitrani costretti a star lontano dalla propria casa, dalla propria famiglia. Ci sono calitrani che pur vivendo nel loro paese sono costretti a rinunciare a quell’aria di pace che nei vicoli si respira , quella sensazione di essere altrove.
Già perché passeggiando tra questi sembra quasi di essere catapultati nel passato, in un’altra epoca, complici le case abbandonate, i ruderi, ma soprattutto il senso di comunità che traspira negli occhi di coloro che sono rimasti a vivere e a far rivivere il centro storico. Quegli occhi che guardano con stupore e con gioia i passanti, siano essi conoscenti o anche ‘frstier (forestieri).
Per questo motivo ho deciso di dedicare questo mio articolo ad una piccola passeggiata virtuale in alcuni dei vicoli di Calitri, sperando di riuscire a trasmettervi, seppur in minima parte, quelle sensazioni che potrete (ri)provare sulla vostra pelle non appena ci sarà consentito.
La mancata presenza di foto è voluta: l’intento è che le mie parole possano immortalare nella vostra mente le immagini dei luoghi raccontati e per chi ancora non li conosce, beh è un modo per stuzzicare la vostra curiosità, provando ad immaginarli e confrontarli con la realtà il più presto possibile.
Partiamo da corso matteotti...
Ci troviamo in Corso Matteotti, quello che una volta era il fulcro dello struscio, della vita calitrana, ricco di botteghe ed abitazioni. Come in tutti i paesi irpini, ogni via, ogni scorcio segna una demarcazione tra l’avanti e il post terremoto; corso Matteotti in maniera particolare.
Ci dirigiamo verso la Piazza della Repubblica, dove ha sede il Municipio. Sulla sinistra troviamo la Torre di Nanno, un bastione aragonese venuto alla luce dai ruderi delle case distrutte dal sisma dell’80 e vicino al quale si apriva la cosiddetta “Porta di Nanno”, uno degli accessi al borgo medievale.
Sulla destra un immenso belvedere che affaccia su di un piccolo scorcio del paese, il quale dalla Varianda scende fino alla Stazione. Ma la vista, particolarmente suggestiva al tramonto , viene bruscamente interrotta da una lunga fila di case fatiscenti. Serrande arrugginite, una vecchia insegna indica quella che una volta era la “Maglieria Di Cairano”, alcuni balconi aperti mostrano al proprio interno una vita congelata al 23 novembre 1980, una vita distrutta in una manciata di secondi.
Alcuni pensano che queste case debbano essere demolite, in quanto elemento di stono rispetto ai canoni di bellezza estetica. Io, invece, credo che debbano essere semplicemente messe in sicurezza, lasciando intatto il loro significato intrinseco. Queste case sono testimonianza di una storia, seppur dolorosa, con cui le generazioni più adulte si ritrovano ogni giorno, ogni anno, specialmente in questo periodo, a dover fare i conti. E, a loro volta, queste case sono lo specchio che riflette questa storia negli occhi di noi giovani, del post-terremoto, che non abbiamo toccato con mano il dolore, la distruzione, ma ne abbiamo vissuto gli effetti, sui nostri cari e sulla nostra comunità. Queste case sono la testimonianza della memoria e della necessità di prevenire nei limiti del possibile catastrofi di questo genere, dedicando più attenzione agli interventi antisismici.
A dare oggi un po’ di luce e di colore a questi segni del passato due murales dell’artista Alaniz: in alto una signora, i cui capelli sono raccolti in un foulard (macquatùr), tra le mani un secchio dal quale fuoriescono farfalle colorate. In basso un uomo, mi piace pensarlo come il marito della prima figura, tra le mani sembrerebbe avere un cernicchio. La scena rievoca i lavori di campagna: i due probabilmente sono intenti nei lavori di cernitura del grano o delle olive, per ripulirli dalle impurità.
Di rimpetto un particolare che spesso resta inosservato: innalzando gli occhi verso il cielo si nota quello che a me piace chiamare l’albero della resilienza, ossia un albero sospeso sulle mura, apparentemente senza sostegno, ma che domina il panorama con tutta la sua forza.
...fino alla 'rlloggia
Proseguendo verso la piazza ancora un murales sulla sinistra, realizzato durante lo Sponz Fest 2017, che rappresenta “l’evoluzione della partenza”: l’emigrazione, dalle terre del Mezzogiorno verso le città industrializzate del Nord, che evolve nel ritorno alle origini, in questi paesi mai dimenticati. Quel ritorno che anche il Covid e lo Smart working stanno alimentando.
Addentriamoci ora nei vicoletti, partendo da Via Berrilli, passando sotto il tunnel che affianca l’ingresso del Comune e dal quale le parole, i rumori fanno eco, rompendo il silenzio che fa da padrone. Voltandoci di spalle troviamo sulla destra una piccola fontanella, alle cui spalle un quadretto in ceramica immortala il posto nel suo aspetto agli inizi del ‘900: la sede dell’attuale Municipio, infatti, nacque nel Cinquecento come Monastero delle Suore Benedettine, per essere poi modificato nella forma (in particolare per la costruzione del tunnel di cui sopra) e nella destinazione d’uso con i lavori di restauro a seguito del terremoto del 1930. Ciò che ci resta di questo monastero è l’adiacente Chiesa dell’Annunziata, anch’essa cinquecentesca.
Poco più avanti, nel Palazzo Rinaldi, l’Ufficio Turistico, gestito dalla Pro Loco, dove quasi sempre ad accogliere gli ospiti con un bel sorriso è Titti, una signora ritornata alle origini dopo una vita vissuta in America, che dedica il suo tempo libero alla comunità, pronta a dispensare consigli e aneddoti sul posto e sulla vita. Tra un palazzo e l’altro qualche scorcio sul monte del Calvario, dominato dal verde nelle stagioni più miti e dal marrone-arancio in quella autunnale.
Le porte delle case, quasi tutte disabitate, danno spazio alla fantasia, immaginando le storie, le famiglie, gli amori che sono passati davanti, lasciando in bocca il sapore della nostalgia. È solito trovare vicino ad ogni portale una bottiglia di plastica, piene d’acqua, e anche qualcuno pronto a spiegarvi il motivo: evitare che in quei punti, cani e gatti, facciano i propri bisogni, poichè si pensa che gli animali, specchiandosi, si allontanino per paura.
Dal Palazzo Zampaglione, salendo sulla sinistra, arriviamo alla fine di questo piccolo tour: alla ‘rlloggia.
Nel luogo in cui il tempo si è fermato alle ore 19.34 del 23 novembre 1980, ci fermiamo anche noi a rendere omaggio alle vittime, alle certezze, ai progetti crollati in un minuto e mezzo, alla normalità spiazzata. Ci fermiamo a ricordare un terremoto che a distanza di quarant’anni è ancora così presente, nel cuore ma anche visivamente. Per non dimenticare.
Blogger Calitri. Studentessa magistrale in ‘Economia e Management’, laureata in Economia Aziendale. Appassionata di fotografia e della mia terra. La mia ambizione più grande è quella di restare e fare del nostro territorio un luogo di opportunità per tanti giovani come me. Ecco perché ho deciso di far parte di questo progetto e di portare Calitri nel cuore di chi mi leggerà.
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