Settembre. Fin bambino ho associato questo mese al profumo delle nocciole, all’odore caratteristico dell’erba falciata ed al succo d’uva, che percorrendo le mani e poi le braccia, rende tutto più appiccicaticcio.
Già dai primi giorni del mese, nella media valle del Sabato, a ridosso dei giacimenti di zolfo, si sentono i trattori riecheggiare, pronti per la vendemmia, mentre nelle contrade più alte del paese i contadini si accingono a raccogliere le nocciole.
Sulla vite e sul nocciolo, oggi, si basa l’economia agricola locale, eppure un tempo le campagne altavillesi si tingevano di tanti altri colori e i sentieri si profumavano d’altre fragranze oramai perdute.
Le mele
Raccogliendo la testimonianza di un giovanotto altavillese classe ’44, Domenico Severino (zì Minicucc ‘u Sess), è venuto fuori che da 40 anni a questa parte il sopravvento della viticoltura e della corilicoltura ha impedito la conservazione delle colture tradizionali, lasciando solo il ricordo di alcuni frutti caratteristici del luogo, quelli che oggi vengono definiti frutti minori. Un esempio eclatante è sicuramente la mela “Bianca di Grottolella”, un frutto importato per la prima volta dalla Francia a metà del ‘700 che ha trovato nel comprensorio di Altavilla, Capriglia e Grottolella condizoni pedoclimatiche ideali per esaltare caratteristiche organolettiche uniche nel suo genere.
Domenico era figlio di proprietari terrieri la cui azienda annoverava ben 100 operai giornalieri fissi. Durante il periodo di raccolta delle mele, le donne con gli asini si occupavano del trasporto dal deposito alla “Piccola”, un capannone di modeste dimensioni adiacente alla stazione dove venivano selezionate le mele in base al loro calibro. Le mele di pezzatura 100-110 mm erano stoccate in polistirolo e destinate al mercato tedesco. In Germania arrivavano i vagoni dei treni direttamente da Altavilla, nonostante le famose Val di Non e Val di Susa fossero più vicine. Le mele più piccole, una volta caricate nei cestini, erano trasportate su ruota per i mercati di Fondi, Barletta e Bari. I cestini erano più preziosi del carico stesso!
Ciliegie e noci
Oltre alle mele erano tante altre le colture praticate a scopo commerciale, come ad esempio le ciliegie a cuore (ciras ‘a core), abbastanza insolite e difficili da conservare, tant’è che veniva fatto un trattamento a base di ossidi di zolfo per rallentare la maturazione post raccolta, al fine di prolungare i tempi di conservazione.
Per quanto riguarda la frutta secca, le campagne altavillesi hanno sempre prodotto buone nocciole ma tra le piante di nocciole si ergevano superiori ed imponenti noci di ogni tipo. Piccola parentesi sul noce: a me piace chiamarlo “albero delle nascite” perché anni fa si piantava un noce quando nasceva un figlio, in modo tale da assicurargli il matrimonio. All’epoca il legno di noce veniva ben pagato quindi dopo aver prodotto noci per diverse annate, la pianta veniva abbattuta ed il fusto venduto per la realizzazione di mobili e con il ricavato si saldava il conto al ristorante.
Il tabacco
Nei primi del ‘900 l’economia agricola altavillese era fiorente anche grazie al tabacco, infatti nel 1911 nacque il primo consorzio tabacchi nella zona che vantava circa 180 soci. Quando si raccoglievano le foglie di tabacco, come per altri lavori, tutti avevano un compito, dal bambino di 5 anni all’anziano di 80. Dai campi le foglie di tabacco, con l’ausilio di asini, venivano trasportate nei capannoni aperti lateralmente per permettere il processo di essiccazione.La vendita avveniva tramite una sorta d’asta tra i compratori, mentre oggi per le poche zone dove si coltiva ancora, gli accordi vengono presi prima ancora della raccolta.
I frutti perduti
Le colture che nella nostra zona stanno svanendo sono tante, come per esempio quella del lodo, del melograno, del sorbo, del cotogno, del columbro e del corbezzolo. C’è un frutto però che la maggior parte dei ragazzi di oggi neanche conosce ed è il nespolo nostrano anche detto Niespol a Cippon. A differenza del nespolo giapponese, i frutti del nespolo nostrano hanno meno polpa e più sostanza secca ed il loro sapore è molto allappante grazie alla presenza elevata di tannini. Questo frutto veniva consumato quotidianamente nel periodo autunnale, ma alla fine del ‘700 fu soppiantato dalla più dolce ed amabile nespola giapponese.
Anche se i frutti minori non erano molto redditizi, la tradizione ne ha permesso la conservazione fino agli anni’ 70 e ’80 dello scorso secolo. Fu proprio in quegli anni che la maggior parte degli agricoltori iniziò una corsa frenetica al disboscamento delle intere aree. Insieme ai boschi, gran parte dei fondi adibiti alla semina del frumento fu convertita alla viticoltura, inoltre visto il buon mercato delle nocciole ulteriori appezzamenti furono destinati alla corilicoltura.
Da quegli anni in poi l’Altavilla rurale si divise in due fasce, entrambe interessate dal fenomeno della monocoltura. Fenomeno che con il susseguirsi dei reimpianti ha favorito la propagazione dei patogeni e parassiti relativi alle colture, causato dissesti idrogeologici, stancato ed impoverito il terreno e modificato il paesaggio rurale a scapito della biodiversità della flora e della fauna locale e migratoria.
Concludendo, sorge spontaneo un interrogativo:
Il progresso porta regresso?
Autore: Michele Tosone
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