A Savignano Irpino, c’era una volta, libero nelle strade del paese, un maiale di nome Rocchino.
Vorrei rassicurare subito chi sta immaginando di essere preso in giro: è sacrosanta e pura verità, sono ancora viventi persone che ne hanno memoria e disposte a raccontarne la storia.
Una storia che, a quanto pare, affonda le sue radici nel lontano XVII secolo e che, come tutte le vicende degli animali che con la loro carne contribuiscono a nutrire gli umani, ha una prevedibile e cruenta conclusione.
Rileggendo mi rendo conto che potrei avere ingenerato nella mente dei lettori una qualche confusione: il primo Rocchino visse in un non meglio precisato anno della fine del 1600, a seguire vi fu tutta una serie di maialetti di tal fatta, fino a giungere all’ultimo che visse nel dopoguerra (anno più, anno meno).
Non accusatemi di mancanza di rigore storico, perché so di non averne da vendere: stabiliamo che ci muoviamo tra leggenda e realtà, liberiamoci di quest’increscioso problema e andiamo avanti.
Rocchino il maialino vagabondo
Se ci siete ancora, sappiate che tanto tempo fa un signore molto devoto a San Rocco, acquistò un porcellino che, nel suo intento, doveva aiutare la Chiesa, con il contributo della comunità tutta, a finanziare adeguatamente la Festa del Santo che Savignano onora il 1 luglio.
Si narra che costui addestrò per un’intera giornata il piccolo animale a mendicare di porta in porta un pugno di granoturco.
Certo il paese non è grandissimo, ma è verosimile che l’esercitazione richiedesse un bel po’ di tempo perché a ogni porta occorreva spiegare chi fosse Rocchino e quale fosse la sua delicata missione: ingrassare adeguatamente per rendere bella e preziosa la Festa di un Santo molto amato dai savignanesi, nella cui ricorrenza si svolgeva (e questo lo ricordo molto bene anch’io) una grossa Fiera del bestiame che richiamava in paese molti espositori e compratori.
Fiera che durava ben due giorni, quello di San Rocco e il successivo, Festa della Madonna delle Grazie, e che rappresentava, in un paese di agricoltori e allevatori, il momento per molti di vedere finalmente il frutto delle fatiche di un intero anno di lavoro, di fare magari qualche buon affare e di programmare, con l’acquisto di nuovi animali, il lavoro dell’anno venturo.
Mi permetto, prima di tornare al nostro Rocchino e al suo destino di mendicante (e martire), di sottolineare come l’importanza economica della Fiera dia alla sua storia una cornice che ben spiega il motivo per il quale, come si evince dai racconti degli anziani, il porcellino fosse tanto benaccetto dalla popolazione tutta, che contribuiva volentieri al suo sostentamento e alla buona riuscita della sua crescita.
Rocchino, a quanto pare, trascorreva le crude notti invernali al calduccio in un giaciglio all’interno di un Forno pubblico, le fresche notti estive all’aperto sotto le stelle.
Le giornate le passava in giro per il paese per la quotidiana questua.
Ho provato a immedesimarmi in lui, mi sono chiesta se al suo affacciarsi alle porte avesse titubanze e timori, se provasse riconoscenza per quelle mani che tiravano fuori da un sacco un pugno di granoturco che seduta stante sgranocchiava, se avesse trovato una modalità tutta suina di ringraziare e salutare … chissà! vacci a entrare nella testa di un maialino!
Credo che solo un bambino sarebbe in grado di farlo, provate a raccontare ai vostri bambini e a chiedergli cosa provasse secondo loro, sono sicura che vi daranno delle risposte strabilianti! E se lo fate scrivetemi qui sul Blog e magari poi questa storia la riscriviamo con le loro risposte, la riscriviamo con gli occhi dei bambini nella testa di Rocchino!
La triste fine di Rocchino
Ecco, ci sono caduta ancora, ho divagato! Perdonatemi. Mi ricompongo e vado a concludere.
Eh sì, perché quel tran tran di vita arrivava abbastanza presto alla sua conclusione.
In paese c’era chi osservava il nostro amico da un punto di vista “tecnico”: chi ne soppesava dimensioni e qualità delle carni, perché ineluttabilmente si avvicinava il giorno dell’offerta.
Sulla cotenna del povero animale i macellai facevano una sorta d’appalto, e comunicavano alla Chiesa quanto erano disposti a sborsare per scannarlo, dissezionarlo, farne carne da banco, salsicce, sugna, prosciutto eccetera eccetera, perché si sa del maiale non si butta niente.
La Chiesa aggiudicava la gara al miglior offerente e Rocchino, tra strilli strazianti, passava a miglior vita.
Molti furono i maialini che nel corso dei secoli vissero questo triste Calvario, fino all’ultimo della lunga serie, che chiamerò Rocchino il Ribelle, il quale, trovando probabilmente poco dignitosa la vita dell’accattone, fuggì dal paese e si dette alla macchia nelle campagne.
Dovendo sopravvivere cominciò a fare una vita d’espedienti, soprattutto a danno dei pollai, cosa che non fu affatto gradita dai contadini, né tantomeno dalla Chiesa che non poteva certo tollerare che fosse infangato il nome e il culto di un suo Santo.
Così il Ribelle con le sue epiche gesta costrinse Savignano, i suoi abitanti e le sue Sacre istituzioni a mettere fine allo sterminio pubblico dei maiali.
Continua quello privato.
Ma questa è una storia che racconteremo in un’altra occasione.
Autore: Angela De Paola
Blogger Savignano Irpino.
Siamo Angela, Olimpia, Teresa e Tina, quattro donne di età diverse e con storie diverse, ma con una passione comune: il desiderio di vedere rifiorire il nostro paese.
Il nostro obiettivo è quello di farlo conoscere ed apprezzare per la sua bellezza e la creatività che essa può generare nei suoi abitanti e nei visitatori. Con le storie che racconteremo cercheremo di incuriosirvi e di portarvi con la mente, con il corpo e con il cuore qui a Savignano, in uno dei Borghi più belli d’Italia.
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