Una linea melodica di fumo si espande nell’aria. Da lontano percepisco il suono di una tromba, mi avvicino, è una musica da guardare, ma soprattutto da respirare.
Le note di Nuovo Cinema Paradiso si fondono con il mare di un’estate napoletana, qualcuno passa avanti, molti si fermano ad ascoltare, un bambino è incantato da mezz’ora e non riesce a staccare lo sguardo dall’altro bambino, un po’ più grande e con la barba, che ha deciso di vivere soffiando in un tubo di ottone.
In un mondo in cui tutto è precario a volte un gioco può diventare un mestiere: è la storia di Tony Fiordellisi, trombettista altavillese, che un giorno ha deciso di fare del suo gioco preferito il suo lavoro, della sua libertà il suo stile di vita.
Oggi abbiamo il piacere di fargli qualche domanda, per capire meglio cosa significa essere artista di strada.
Tony, innanzitutto, il tuo è un mestiere?
Per me sicuramente lo è, per altri è un hobby, per alcuni è un secondo o addirittura terzo lavoro, per lo Stato e l’Agenzia delle Entrate invece siamo inesistenti.
Quando è stato il primo incontro con la musica?
Avevo undici o forse dodici anni e il primo incontro lo devo al compianto maestro Francesco Esposito, mia prima guida nel mondo della musica. Nel mio repertorio c‘è una canzone di Luigi Tenco che recita “mi sono innamorato di te perché non avevo nulla da fare…”, ecco, ho iniziato perché non avevo nulla da fare e poi ho capito con il tempo che avevo imboccato la mia strada.
Quando hai capito che potevi vivere facendo arte di strada?
Quest‘estate, a Giugno, esortato e spinto dal mio amico Lino’s Street Circus sono partito per Napoli per fare in strada la stessa identica cosa che facevo nella mia cameretta: soffiare in quel tubo, a fine mese avevo un euro in più di quando ero partito. Considerando il Covid e la mia inesperienza ho pensato che fosse un buon risultato e ho incominciato a crederci.
Cosa vuol dire fare arte in strada e cosa si prova?
Vuol dire avere coraggio, la ricompensa più grande è sentirsi liberi!
Qual è il tuo palcoscenico preferito?
Napoli, a Via Partenope, spesso denominata impropriamente Via Caracciolo o Mergellina, ai piedi di Castel dell’Ovo, il mio castello. Lì mi sento come se quel gigante di mattoni e cemento alle mie spalle mi proteggesse, non so spiegare questa sensazione, è il mio locus amoenus, è dove mi sento a casa.
Come percepiscono le persone l’artista di strada?
Ovviamente le persone sono diverse. Per alcuni siamo bravi ragazzi che si esibiscono pur di non delinquere, per qualcuno siamo veri artisti, anche quando magari non lo siamo realmente, altri ancora ci considerano mendicanti che elemosinano qualche spiccio. In alcuni casi invece viene riconosciuto realmente il nostro valore trovandoci dinanzi persone molto qualificate a nostra insaputa. In strada non esistono certezze, soprattutto nel modo in cui le persone ci percepiscono.
Come riesci ad andare d’accordo con le altre realtà circostanti: negozi, bar, locali?
Beh, non sempre andiamo d’accordo. Alcune attività pensano di poter ottenere vantaggi dalla mia musica mentre altre pensano il contrario, io provo a rispettare tutti i locali e a scegliere postazioni idonee secondo quello che è il mio buon senso. Spesso ci sono contrasti, in ogni città, qualcuno pensa che le proprie ragioni valgano più delle mie perché pagano le tasse (almeno in teoria), qualche altro fa la voce grossa perché si sente padrone di un luogo in cui sta da anni, mentre io sono nomade. Io vado avanti per la mia strada perché credo che la strada sia di tutti, come il mare o la montagna.
Ma quanto è difficile essere musicista ai tempi del Covid?
Non posso rispondere perché non ho mai provato a fare arte di strada senza Covid. Ho iniziato con la pandemia e sto continuando in questa situazione. Credo che anche in una situazione di normalità me la spasserei facendo ciò che faccio oggi.
E in futuro come ti vedi? Quali sono i tuoi obiettivi e quali i tuoi sogni?
In mezzo a dieci modelle a suonare la mia tromba su una spiaggia caraibica (ride ndr). A parte gli scherzi non ho progetti né obiettivi. Non sono capace di progettare nulla io, mi piace vivere alla giornata, voglio continuare a studiare e vorrei portare la mia musica fuori dalla Campania e dall’Italia. Non riesco ad immaginare un futuro scritto su un’agenda e dettato da un orologio. Voglio continuare ad alzarmi la mattina e scegliere se lavorare o meno, dove farlo e in che modo. Del resto il tempo è la ricchezza più grande che posseggo e non voglio sprecarlo a progettare il futuro. Insomma voglio continuare a soffiare nel mio tubo liberamente.
Autore: Gaetano Gagliardo
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