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Taurasi: racconto di una vendemmia passata.

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Foto: Cantine Addimanda

Noi ragazzi del Forum Giovani di Taurasi, siamo qui per raccontarvi una storia.
Si tratta di un racconto che fa un nonno taurasino a suo nipote.
Vorremmo provare, per quanto difficile sia riuscirci solo con delle parole, a far vivere, a voi che state leggendo, delle emozioni. Quelle stesse emozioni che il ragazzino prova ascoltando le parole di suo nonno, il quale, memore di giorni lontani, gli racconta le fasi della vendemmia, uno dei momenti più caratteristici della produzione del vino.

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Foto: Cantine Addimanda

Nonno Tonino: “A nonno, oggi voglio raccontarti di quando ero anche io un ragazzino come te, e mio padre mi portava in campagna a vennegnà. Non credo che tieni meglio ra fa, visto che lo coronavirùs non ce face ascì.  
Assettate qua, vicino a me”.

Nipote Antonio: “Va bene No’, però non volerci troppo, che devo andare a fare i compiti”.

 

Nonno Tonino: “Devi sapere che non si vendemmiava in un solo giorno, perché non c’erano i tini sufficienti per la quantità di uva che si raccoglieva.  Infatti, la vendemmia iniziava verso il 20 di ottobre e finiva a metà novembre. Mi ricordo che prima i vigneti erano molto alti, non come oggi che sono ad altezza uomo, infatti, per salirci avevamo bisogno del treppieri’’.

Nipote Antonio: “Come mai erano così alti?’’.

Nonno Tonino: “Beh, all’epoca il terreno, essendo l’unica risorsa per noi contadini, veniva sfruttato a pieno, perciò sotto le viti c’erano altre coltivazioni, come le zucche, il grano ecc.
Poi, devi sapere, che per raccogliere l’uva, utilizzavamo i rongilli, dei coltelli a forma di uncino che producevano i fabbri per la vendemmia, in quanto le forbici di puta erano troppo grandi. L’uva raccolta veniva messa all’interno dei panieri, per poi essere svuotata nei sicchioni’’

Nipote Antonio: “Mamma mia! Ma non vi stancavate?’’

Nonno Tonino : “Antò, e vedi tu! Mica tenevamo i trattori che ci portavano tutto… Pensa, che per trasportare l’uva, esistevano i carretti che venivano trainati o dai buoi o dalla giumenta. Mica esistevano tutte ste cose tecnologiche! Poi la gente era felice, perché stava a pieno contatto con la natura!

Arrivati alle masserie, poi, l’uva si metteva nei tini e le persone dovevano schiacciarla con i piedi, per far uscire il succo dai chicchi.
Pensa, che nella tina più grande entravano tre o quattro persone e ci volevano almeno 3 ore per schiacciare tutta l’uva. Dopo di che bisognava “scigliere la vinaccia” con dei pali di legno che venivano messi nella tina, per far muovere i residui di uva, facendo scolare tutto il vino. Quest’ultimo veniva versato di nuovo nella tina per farlo riposare, e dopo un paio di giorni bisognava abbassare la vinaccia, che veniva in superficie, a causa del calore che emanava il vino.

La vinaccia doveva essere sempre “bagnata” perché, se era asciutta, significava che qualche chicco era acitoso e guastava tutta la produzione. Per abbassarla si utilizzavano i forcati e si impiegava molto tempo perché era pesante, però, con l’aumentare della gradazione alcolica e col diminuire dello zucchero, la vinaccia scendeva”.

Nipote Antonio: “No’, ma come si capiva che il vino era pronto per toglierlo dalla tina?”

Nonno Tonino: “A nonno, grazie al palato, perché non esistevano i mostimetri. Mio padre assaggiava il vino all’interno “dell’ammolella” (una giara di creta). Questo assaggio era importante per capire la gradazione del vino.
Dopo di che si poteva ammottare, ovvero, si faceva uscire tutto il vino dalla tina, e la vinaccia che rimaneva si metteva all’interno del torchio, per stringerla e far uscire altro vino.”

Nipote Antonio: “Ma tutta quella quantità di vino la conservavate per voi o riuscivate anche a venderlo?”

Nonno Tonino: “Lo vendevamo, però non tutto. Il vino che conservavamo per la famiglia aveva anche un trattamento speciale che si chiamava “per la mancanza e per la crescenza”, cioè: quando c’era la luna piena, il vino non veniva travasato, quando poi c’era la ‘’mancanza’’, ovvero la luna a spicchio, si effettuavano dei travasi fin quando il vino non si chiarificava.
Antò, quel vino era la morte soa… Papà addirittura ce lo faceva bere a colazione, anche perché l’acqua non si poteva sprecare.

Uno dei miei ricordi più belli era quando finivamo la vendemmia e si organizzavano delle grandi cene con gli operai, in segno di ringraziamento.
Ja, mo vai a sturià, che ce sta tiempo pe ati racconti.”

Nipote Antonio: “Non ti preoccupa, no’ , la prossima volta vengo in campagna e mi fai vedere direttamente’’.

Autore: Maria Elena Sacco e Ida Camarro

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