Continua il mio modesto contributo volto alla valorizzazione e promozione culturale della nostra verde Irpinia.
Tra le mie indagini storiche ho ritenuto particolarmente significativo l’argomento delle neviere o “nevere” sia per l’aspetto sociologico che culturale volto a testimoniare il connubio inscindibile dell’ ingegnosità dei nostri avi partendo dagli elementi naturali che li circondavano. Faremo un salto a ritroso nel tempo, quando la vita era legata ai ritmi biologici della natura in una cornice estremamente rurale.
Vi parlerò di “attività” scomparse che non sono più praticabili perché soppiantate dalla tecnologia domestica, di uno spaccato di vita vissuta fatto di stenti e sacrifici per sbarcare il lunario durato fino alla metà del Novecento ma anche di curiosità e aneddoti inediti.
Le antiche neviere che cosa erano?
Il termine neviera è ormai in disuso.
Indicava un luogo sotterraneo utilizzato per immagazzinare la neve caduta nei mesi invernali sotto forma di ghiaccio da utilizzarsi sia per la conservazione di alimenti sia per refrigerare bevande.
Possiamo dire che le neviere erano enormi freezer dell’antichità.
La collocazione della neviera non era affatto casuale. Veniva scavata nelle zone più ombrose e ventilate con l’ingresso verso nord per garantire la conservazione del ghiaccio fino al periodo estivo.
In alcune zone come Monteforte erano scavate nella pietra tufacea e raggiungevano dimensioni importanti con un diametro di quasi 10 metri e una profondità di dodici metri.
La lavorazione della neve
La neve raccolta veniva ammassata nelle neviere a strati alternati da foglie secche, paglia e talvolta anche ginestre in modo da creare uno strato isolante effetto “cuscinetto” volto ad impedirne lo scioglimento.
Il ghiaccio veniva ottenuto pressando con i piedi la neve.
Tagliato in blocchi di cinque o sei kg con appositi attrezzi a mò di sciabole, avvolto in panni di iuta e trasportato su carretti. Anche le donne partecipavano attivamente trasportando la neve raccolta con cestini sulla testa. Così lavorata la neve trasformata in ghiaccio riusciva a conservarsi per i mesi della calura estiva.
Coloro che lavoravano nelle neviere avevano abiti molto pesanti e portavano delle ghette copri scarpa in canapa fino al ginocchio per un duplice effetto: sia per proteggersi dal freddo sia per preservare la neve da contaminazioni.
L’ utilizzo del ghiaccio
Il ghiaccio ottenuto dalla lavorazione della neve veniva venduto a famiglie, alle osterie, ad ambulanti per la preparazione di sorbetti e bibite fresche smistate fino in Costiera Amalfitana ma soprattutto agli ospedali del Nolano e del Napoletano.
Nella farmacopea popolare il ghiaccio si utilizzava a scopo terapeutico come rimedio per la febbre, disturbi intestinali, ascessi e soprattutto contusioni, la cosiddetta “cura del freddo”
Le neviere principali in Irpinia
Troviamo ampia testimonianza delle neviere presenti a Monteforte Irpino, ma quelle realizzate sul Campo Maggiore a Montevergine nel comune di Mercogliano a circa 1300 metri di altezza costituivano la produzione più abbondante tanto che a metà Ottocento riuscivano a garantire il fabbisogno per tutta la città di Napoli.
Le neviere principali erano dislocate negli attuali comuni di Avella, Mugnano del Cardinale, Summonte e Ospedaletto altre invece erano attive nella zona nord est di Trevico.
Alcune di queste neviere di Trevico furono dismesse a seguito del terremoto del 1930 mentre un’altra è stata attiva fino al 1949 ed era ubicata a qualche centinaio di metri dall’ attuale zona cimiteriale del paese.
A Gesualdo la piazza principale antistante il castello si chiama proprio Piazza Neviera per una torre-magazzino a forma circolare fatta costruire da Nicolò Ludovisi che aveva la tipica funzione di neviera.
A Bonito la toponomastica in più punti richiama il termine “nevera”.Una in particolare tra Bonito e Mirabella Eclano verso la frazione Piano Pantano,zona molto ombrosa ove la tradizione colloca un’antica neviera.
A Vallata troviamo una via Neviera, a Sant’ Angelo dei Lombardi le fonti riportano una neviera attiva dietro il castello e ancora nel comune di Chiusano San Domenico nei pressi dell’ Eremo di San Guglielmo erano attive diverse neviere perlopiù a forma cilindrica.
Ad Avellino esisteva un Vicolo della Neve così definito perché adibito alla vendita del ghiaccio.
Il business della neve: "L'oro bianco"
Un vecchio adagio popolare recitava: ”la neve è ricchezza” perché rimpingua le fonti sotterranee ma nel nostro caso la lavorazione della neve dava il sostentamento agli addetti ai lavori. Braccianti e contadini nei mesi invernali non potevano dedicarsi ai lavori nei campi e sbarcavano il lunario trasportando e ammassando la neve. Ciò e’ accaduto in particolare per le neviere di Campo Maggiore che dalla metà dell’Ottocento davano lavoro a centinaia di persone facendo la fortuna di diverse generazioni di imprenditori così come ampiamente riferito dalle fonti documentali.
Essendo un bel business non mancarono le gabelle e i contenziosi legali alcuni dei quali interessarono la Gran Corte dei Conti di Napoli fin dai primi decenni dell’Ottocento.
Curiosità e aneddoti
Il ghiaccio essendo un habitat ideale per molti virus e batteri fu anche veicolo per malattie come il tifo e vaiolo.
Nel 1929 fu vietata la vendita di ghiaccio per uso alimentare se non preventivamente trattato.
Ancora oggi è molto usuale sentire esclamazioni tra i più anziani del tipo: “ma’ è proprio nà nevera”(è proprio un ambiente ghiacciato) nell’ entrare da un ambiente caldo ad uno privo di riscaldamento o particolarmente gelido. Testimonianza che il ricordo di questi luoghi, di queste tradizioni erano molto radicate in ognuno . Quello che adesso sembra ancestrale e quasi inconcepibile era vita quotidiana fino agli anni Cinquanta del Novecento.
Blogger Bonito.Cultore di storia,archeologia,arte e tradizioni locali,escursionista.Da sempre,cerco di far conoscere ed apprezzare le varie potenzialita’ dell’ Irpinia, terra ove natura,tradizioni ,cultura e sapori sono ancora autentici,scrigno di eccellenze.Collaboro con chiunque abbia le mie stesse passioni nel valorizzare in toto la nostra terra e ho colto al balzo l’invito che mi e’ stato proposto,con il proposito lungimirante ma mai utopistico di riproporre un nuovo “rinascimento” irpino sia sociale che culturale, imprenscindibile da una presa di coscienza individuale in un ottica di collaborazione pluridisciplinare e plurisettoriale.
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Anche a Greci, unico Comune a Minoranza Linguistica Storica Arbereshe ( italo albnese) di tutta la Regione Campania esistevano già nel 1700 le “neviere”. Nel Catasto Onciario di Greci del 1756 ne sono censite diverse con gli addetti definiti quali ” custodi di neviere”. La memoria storica di Nostri Antenati ha tramandato anche qualche sito!!!
Buonasera. Grazie di aver letto l’articolo. Sono a conoscenza dell’esistenza di quest’attività anche a Greci.Non è stato menzionato per dimenticanza o per minore interesse ma solo per motivi di spazio.Anche altri paesi con una buona tradizione come Frigento purtroppo non potevano essere opportunamente trattati. E’mio interesse enunciare più approfonditamente l’argomento in un libro a breve termine avendo così l’opportunità di occuparmi di tutti i paesi interessati. Grazie ancora del suo tempo. Saluti.
Antonio Ferragamo
bellissimo articolo . complimenti!!!!
Grazie mille.