Storie di famiglia gruppo donne

Storie di famiglia: il corredo e “lu cument”

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Storie di famiglia gruppo donne
Foto di Gerarda Piccininno

Irpinia World ha l’intento di scavare nelle memorie dei paesi Irpini e non solo. Parte da quel che era l’Irpinia ed il suo popolo per riscoprire l’essenza di ciò che oggi sembra dimenticato per ridarle vita, trasformando la storia in un punto di partenza per quel che dovrà ancor essere. 

Ricercare, analizzare, bilanciare il vecchio ed il nuovo, l’uno intrinseco nell’altro, metà perfette di generazioni miste, alcune non comprese, altre ormai scontate per gli altri, non per noi, non per chi ci crede. 

Ed ecco, allora, che per comprendere l’evoluzione storico, culturale e sociale del nostro territorio è necessario fare un passo indietro nella quotidianità di un tempo, scrivendo di donne e di uomini, delle loro vite semplici e complicate, delle loro gioie e sacrifici. 

Un salto nel passato, in uno dei luoghi più vivi del tempo, oggi tanto silenzioso, ma ricco di storie di donne lavoratrici, madri e mogli forti ed instancabili. Un tributo a loro, ai loro anni migliori, e alle loro voci, mai tremanti, mai silenziose, sempre potenti. 

Le lavandaie e “lu cument”.

Storie di famiglia gruppo di lavoro
Foto di Donato Cassese

Non è facile per noi giovani capire le vite dei nostri nonni e dei nostri genitori prima che la modernità la facesse da padrona. Tante sono le domande, tanti i dubbi, tante le perplessità.

Come ci si parlava nelle mura di casa? Qual era il rapporto familiare? Come ci si organizzava per uscire? Si usciva? In gruppi? Solo uomini e solo donne? Perché? O ancora, come si cucinava? Come si lavavano i panni quando ancora la lavatrice non esisteva o era troppo costosa per le famiglie umili del sud? Ecco, nella zona alta del Paese, prima immerso nel verde, oggi accanto ai ruderi del Convento di Santa Maria della Consolazione dei Francescani, è possibile accedere al nostro lavatoio, strutturato in pietra, direttamente collegato alla sorgente principale della “Fonte”. Era importante quanto la piazza principale.

 Ad ogni ora del giorno vi si trovava sempre qualcuno intento a pulire i propri indumenti, sfruttando l’acqua limpida e fresca della sorgente per ottenere la migliore pulizia, magari tra una chiacchiera e l’altra. 

A parte il suo uso quotidiano, “lu cument” era il simbolo di un meraviglioso rituale precedente allo “sposalizio” consistente nel lavaggio del corredo della futura sposa. 

Il corredo della sposa era costituito da tutto il necessario per completare il futuro nido d’amore: biancheria per la casa e per uso personale, a partire dalle tovaglie da tavola, dai grembiuli, dai fazzoletti di stoffa, fino alla camicia da notte della sposa, le lenzuola di lino o di cotone, le coperte e quant’altro, tanto di più a seconda della disponibilità economica della famiglia.

 Il corredo era, infatti, rappresentativo dello status sociale e finanziario della donna e della sua famiglia, simbolo di un insieme di valori e principi familiari trasmessi da madre in figlia. “Quando nasceva una figlia, la madre iniziava già a pensare al suo corredo, al suo matrimonio e al suo essere una moglie all’altezza del marito”: la donna era tale se madre e moglie, ed una volta diventata madre e moglie, forse, nemmeno più donna a sé stante dal ruolo, in un eterno paradosso fatto di secoli di battaglie perse e poi vinte, anche se in parte, anche se poche, per arrivare ad essere semplicemente Donne, come le nostre nonne e le nostre madri, indipendentemente dalla loro posizione interna al nucleo familiare. 

Ogni bambina ricamava il proprio corredo, quell’insieme di “cose” che sarebbero state il biglietto di accesso ad una nuova vita, a cui da sempre ci si preparava entusiaste, inconsapevoli, eppure felici, chine a lavorare giorno e notte su quei capi per imprimere nel futuro il loro “marchio” d’amore.

Storie di famiglia donna a lavoro
Foto di Miriam Tarullo

Usanze del paese

La madre della futura sposa, mesi prima dal fatidico giorno, riuniva un gruppetto di donne di numero variabile a seconda della quantità di beni per offrire loro un lavoro nella pulizia del corredo. Le lavandaie, quindi, si dirigevano, trasportando “conche” enormi di indumenti sul capo, tutte assieme al lavatoio per tre giorni consecutivi al primo canto del gallo. 

Il primo giorno si iniziava il lavaggio: acqua fredda e sapone, risate, canti, chiacchiere in un mix perfetto per ottenere il miglior risultato. Tra un risciacquo e l’altro, la madre della sposa di prima mattina offriva latte e caffè, dopodiché alle 9.00 la cd colazione (peperoni, sugo, uova) e alle 12:00 un piatto di pasta o legumi appena pronto. Caratteristica del primo giorno di lavoro era la famosa “arsìa”: in alcune caldaie si lasciava bollire l’acqua aggiungendo un chilo o due di cenere del fuoco appena spento, si ponevano i panni lavati in mattinata in dei tinelli di legna coperti da un vecchio lenzuolo, sul quale sarebbe stato versato il concentrato di acqua e cenere che avrebbe reso le lenzuola a mollo nei tinelli ancora più limpide e fresche. 

Durante il secondo giorno, il corredo veniva nuovamente riportato al lavatoio per un nuovo lavaggio: il tutto veniva posto a mollo in acqua calda cui si versava quella che all’epoca era detta “medicina” e che, oggi, altro non è che “varichina”, al fine di ottenere indumenti brillanti.

 Il terzo giorno tutto il corredo veniva accuratamente steso presso il piano della Fonte o su rami di spine o su lunghissime corde create appositamente dalle lavandaie e, una volta asciugato, il tutto veniva riconsegnato a casa della sposa dove i genitori ricontavano il corredo dato loro in custodia, pezzo per pezzo, per poi consegnarlo a chi doveva stirarlo. Il terzo giorno era anche un giorno di grande festa: le famiglie degli sposi offrivano il pranzo ed altri regali alle lavandaie che, dopo tre giorni di duro lavoro, potevano finalmente gioire per il futuro della novella sposa, a cui avevano in parte contribuito rendendo il suo ingresso alla vita coniugale sicuramente splendente di purezza, proprio come lei. 

Oggi, per forza di cose, quel luogo è rimasto lì, inalterato e silenzioso. Eppure quando si entra sembra quasi di risentirle quelle donne, sembra quasi di risentire le nostre nonne che a raccontarci quei giorni ancora si commuovono, un po’ per la malinconia di quella giovinezza ormai passata. Sorridono ancora tutte insieme, chi c’è ancora e chi non c’è più. 

Cantano ancora con quella voce sempre profonda, potente, mai bassa, con quel petto sempre in fuori, orgogliose di essere prima donne, poi madri e poi mogli. 

Cantano proprio così: “Te lo stiro col ferro a vapore ed ogni stirata un bacino d’amor, te lo stendo su un ramo di rose, e vento d’amor tu falli asciugar”. 

Alle nonne di Sant’Andrea di Conza.

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