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Tutte le strade portano a Roma, ma per poterci arrivare numerose strade, stradine, viottole e vicoli si diramano ovunque. Una fra le strade più importanti e più interessanti che ancora oggi suscita curiosità e interesse è l’Appia Antica, come veniva chiamata da Publio Papinio Stazio «Regina delle lunghe strade.».
Regina Viarum
Costruita nel periodo dell’antica Roma per volere di Appio Claudio Cieco nel 312 d.C, la strada permise per la prima volta ai viaggiatori della costa tirrenica di raggiungere in maniera più sicura e certa la costa adriatica. Tuttavia a questo immenso percorso che attraversava la dorsale appenninica, si aggiunsero numerosissime arterie che permisero ad altri territori dell’entroterra irpino di beneficiare della grande rete stradale romana.
Una fra queste, quelle che a noi certamente interessa, è il tragitto che, stando alle tesi che si sono formulate negli anni, una volta oltrepassata Atripalda (Abellinum) ed essere giunta nei territori di Pianodardine (nella zona dello stabilimento FCA), scivolasse verso la frazione S. Michele di Pratola, seguendo probabilmente l’andamento tortuoso del paese fino alle località Case Petruzzielli, S.Fele. Qui, come si può ben notare su una pianta del territorio, la strada dovrebbe salire verso Toppolo S. Felice attraverso un percorso molto fattibile per i viandanti, per poi seguitare, spesso perdendone le tracce per lunghi tratti, in direzione della cappella di Bosco di Montemiletto.
Sul percorso di questa arteria si sono formulate molte tesi tra cui la più accreditata secondo la quale essa fiancheggiava luoghi di estrema importanza sotto ogni punto di vista, economico, politico e religioso. C’è da aggiungere che il percorso potrebbe risultare di poco valore al giorno d’oggi eppure c’è da riflettere sul fatto che spesso strade di questo genere vengono eliminate per via della costruzione di strade asfaltate che ne impediscono, nel momento di un qualsiasi ritrovamento, di continuare la ricostruzione storica-archeologica. Oltretutto ciò che ci potrebbe aiutare a comprendere l’andamento di stradine di questo tipo sono proprio i piccoli e grandi ritrovamenti di pietre, vasi o addirittura edifici distrutti e sparsi sul territorio che tuttora risultano per lo più nascosti.
Si potrebbe immaginare che una strada di questo tipo, sì lontana dalle metropoli romane e poi medioevali, ma certamente fondamentali per gli abitanti di questi territori, fosse stata usata a lungo e che, da un certo periodo di tempo, abbandonata a sé stessa. La manutenzione in molti punti veniva a mancare per via di sviluppi politici-sociali, oggi a noi ignoti, e che generano danni irreparabili. La soluzione più rapida e accreditata per ovviare era sempre il cambiamento del tragitto verso altri luoghi. Ciò però significava muoversi sul territorio in maniera non più regolare, ma seguendo strade sempre più tortuose e poco agibili.
In conclusione, possiamo dire che le ricchezze del nostro territorio sono inimmaginabili ma la capacità dell’uomo di valorizzarle spesso viene a mancare originando una Damnatio memoriae inconcepibile.
Articolo a cura di Francesco Musto
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