Il dialetto rappresenta un codice all’interno del quale sono criptate tutte le contaminazioni culturali, tutti i luoghi figurati e materiali del nostro passato e l’intero albero genealogico di una comunità fin dalla sua genesi. Quando lo parliamo l’aura dei nostri antenati ci circonda, sentiamo il profumo dei nostri nonni, la voce della vecchia vicina che chiamavamo zia, ma che in realtà era una nonna anche lei e guai a dirlo a quella vera! Quasi certamente per descrivere il pentolone stracolmo di ravioli che la nonna preparava per essere lei la regina indiscussa del nostro cuore, si potrebbero utilizzare una miriade di parole diverse, ma l’unica e sola è la parola “callàra”. Il motivo della sua unicità è racchiuso nella capacità insita di rievocare le mani sporche di farina un po’ corrose dagli anni e allo stesso tempo la cucina in muratura alimentata a fuoco vivo, meglio detta “fornacella”. Una parola, una tradizione da sviscerare.